“Obiettivo Yom HaTorah”
Già assessore al culto della Comunità ebraica di Roma, il consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Settimio Pavoncello, tra i fondatori del Tempio dei Giovani, siede da alcuni giorni nella Giunta UCEI in sostituzione del dimissionario Sandro Di Castro. Il neo assessore ci racconta alcuni punti chiave del suo programma di lavoro che tocca, come stabilito al momento dell’attribuzione delle cariche consiliari nello scorso dicembre, aree quali Kasherut, Assemblea Rabbinica e Collegio Rabbinico.
Partiamo dagli ultimi accadimenti. Martedì il Consiglio dell’Unione riunitosi a Milano l’ha scelta per colmare il vuoto apertosi con le dimissioni di Sandro Di Castro. Come interpreta questa decisione?
È un grande onore. L’auspicio è quello di poter mettere a servizio della Giunta l’esperienza maturata nel corso degli anni nelle istituzioni ebraiche. Si tratta adesso di valutare a 360 gradi problematiche, sfide e aspettative dell’ebraismo italiano. Un forte stimolo intellettuale da una parte, ma anche una sentita preoccupazione per l’importanza delle decisioni che si è chiamati a prendere. Sono però convinto che potremo continuare lavorare bene vista la competenza delle tante anime, aree culturali e di pensiero che compongono il Consiglio e l’organo esecutivo dell’Unione.
Quale il suo bilancio finora di questa sua esperienza in Consiglio?
Sono stati mesi intensi e stimolanti. Per quanto riguarda le mie competenze vorrei segnalare alcuni fronti significativi che sono stati aperti. Presto inaugureremo infatti due classi del Collegio Rabbinico italiano in piazza Bologna così da facilitare ancora di più i molti ebrei che vivono in quella zona di Roma. Inoltre l’Unione ha erogato un sovvenzionamento per potenziare il CRI a Milano e un altro ancora per formare shochatim italiani. Inoltre stiamo pensando di far partire alcuni corsi nelle scuole ebraiche con obiettivo finale, tra gli altri, quello di creare posti di lavoro come Sofer o Mashgiach per i nostri giovani. Un altro capitolo delicato è quello della Kasherut. In questi mesi abbiamo sondato la possibilità di dar vita a una Shechitah nazionale. Finora gli esiti non sono stati positivi ma stiamo lavorando per smussare gli aspetti di maggiore criticità. Resta comunque il fatto che a breve la Giunta valuterà la proposta di istituire un ufficio centrale sulla Kasherut, passaggio che rappresenterebbe una svolta per l’ebraismo italiano. E ancora, sul fronte dei rapporti con le istituzioni, ci stiamo attivando per tutelare il nostro diritto alla macellazione rituale in ogni sede.
Altri obiettivi sui quali è al lavoro?
Ho un sogno che spero non rimarrà tale: istituire uno Yom HaTorah, un giorno dedicato allo riflessione e allo studio della Torah che coinvolga contemporaneamente tutta l’Italia ebraica sulla falsariga di quanto già accade per il Giorno della Memoria e per la Giornata della Cultura. Un evento tutto per noi, però. È infatti importante correggere un’errata percezione che si ha della Torah come di un testo appannaggio di soli specialisti e professionisti. È invece il nostro background, un grande capitale che può rinsaldare la nostra identità e allo stesso tempo rafforzare il contributo che gli ebrei possono dare alla società civile. Ho poi in mente un altro progetto che mi piacerebbe chiamare “One Shabbat Together”. L’idea è quella di spingere famiglie che già regolarmente frequentano le sinagoghe a farsi carico, almeno uno Shabbat l’anno, dei cosiddetti “ebrei invisibili” invitandoli in Tempio e a casa propria per i pasti così da far vivere loro pienamente l’atmosfera del Sabato ebraico. Quello degli “ebrei invisibili” è un tema di grande delicatezza sul quale è necessario agire. Sapere che migliaia di ebrei italiani non frequentano i Batè Hakenesset neanche di Kippur è fonte di dolore e preoccupazione per il futuro.
Il mandato di cui è stato investito l’attuale Consiglio UCEI volgerà al termine con l’arrivo della prossima estate. Crede che per quel momento sarà stato possibile realizzare tutte le proposte sopra elencate?
No, i margini di tempo sono troppo stretti. L’obiettivo deve essere quello di gettare delle basi, di contribuire a edificare qualcosa di cui un giorno, che mi auguro il più ravvicinato possibile, tutti potranno godere. Cito come esempio il Talmud (Taanit 23a) in cui si racconta di Chonì Hame’aghel che vide un uomo che stava piantando un carrubo e al quale chiese: “Quanti anni ci vogliono perché dia dei frutti?”. Sentendosi rispondere “settanta anni” Chonì Hame’aghel domandò: “Sei certo di vivere settant’anni, tanto da mangiarne i frutti?”. Al che l’uomo disse: “Io ho trovato il mondo con i carrubi: così come i miei padri hanno piantato per me, anche io pianterò per i miei figli”.
Adam Smulevich