Davar Acher – Quale Hasbarà
Nella corrispondenza da Torino sul congresso Ugei su questa newsletter si è infilato un lapsus sul cui oggetto vale la pena di riflettere. Il contributo di Philippe Karsenty al congresso è presentato come esempio di “Hasbarah (הסברע – intesa come cattiva informazione)”. Ora il verbo “lisbor” da cui viene la parola Hasbarà significa sì informare, comunicare, esprimere opinioni ed è usato per esempio abbastanza spesso nel Talmud per introdurre le varie posizioni nelle discussioni, e “hasbarà” in ebraico moderno può significare “comunicazione” e perfino “propaganda”. Ma nel gergo politico israeliano il vocabolo è arrivato a definire tutta quell’attività di comunicazione che si sforza di rettificare l’immagine di Israele nel mondo e di contrastare le diffamazioni cui il paese, i suoi governanti e in generale il popolo ebraico sono sottoposti nel mondo.
E’ Hasbarà spiegare che Israele non è un “paese di apartheid”, che non esistono dei “Savi di Sion” che mirano alla conquista del mondo, che non è vero che vi siano dei “confini del ’67”, che giuridicamente non è vero che al di là di quel confine vi siano “territori palestinesi”, in cui sarebbe “illegale” la costruzione di case da parte degli ebrei (anzi dei “coloni”) mentre le edificazioni palestinesi sarebbero legali, che l’esercito israeliano non si dedica alla raccolta di organi delle sue “vittime”, né mira ad uccidere i bambini, che i terroristi da Gaza sparano razzi sulle case di civili e Israele solo reagisce, che negli ospedali israeliani sono curati migliaia di palestinesi, che il popolo ebraico è legato da millenni a Gerusalemme e non è affatto un'”invenzione” come dicono i palestinesi e alcuni “storici” ebrei di estrema sinistra. Eccetera.
In particolare è hasbarà fare quel che con molto coraggio ha fatto Karsenty, sfidando per anni l’establishment dell’informazione francese, che non è “la sua complicata battaglia legata all’erronea descrizione dell’emittente France 2 dell’uccisione di un ragazzo palestinese a Gaza nel 2000”, ma la dimostrazione, condotta con successo fino in tribunale che la televisione francese ha mentito consapevolmente nel caso Al Dura (il ragazzino che secondo la propaganda palestinese sarebbe stato ucciso dal fuoco di una pattuglia israeliana e che è stato elevato al rango di eroe popolare per questo). L’episodio è falso e impossibile come si vede da molti dettagli, per esempio l’angolo di fuoco che non corrisponde a quello della torretta di sorveglianza dove stavano i soldati israeliani, o la forma e collocazione delle tracce dei colpi sul muro; ma France 2 ha nascosto ostinatamente buona parte della sua registrazione video che dimostra come l’episodio fosse un falso precostituito. Tutto ciò è stato rivelato da Karsenty con una esemplare azione di hasbarà, che è rimasto a lungo isolata anche nel campo ebraico. E di questo gli va dato grande onore.
Il punto è che spesso la hasbarà è resa difficile dall’incomprensione in campo ebraico, dall’idea che la “narrativa” palestinese, cioè la sua propaganda, vada accettata e non sfidata sui fatti, che la verità non conti o sia contro gli interessi della pace; che di fronte all’antisionismo e magari anche all’antisemitismo non si debbano rivendicare la proprie ragioni e i propri diritti, ma si debba cercare di farsi piccoli e di mostrarsi buoni, sperando che i nemici del nostro popolo si accontentino dell’umiltà o scarichino la loro violenza su chi fra gli ebrei non rinuncia alla propria identità in favore di ideali universalistici (oggi i “coloni”, una volta gli “ebrei orientali”, così diversi dai bravi tedeschi o italiani o americani “di religione mosaica” e opinioni progressiste).
Impegnarsi nella hasbarà vuol dire assumere la responsabilità dell’amore per Israele, far capire le nostre ragioni e i nostri diritti, smontare criticamente l’apparato propagandistico antisionista e antisraeliano, una macchina propagandistica micidiale che corrisponde oggi pienamente a quella che l’antisemitismo ottocentesco e novecentesco, con le sue diverse matrici cristiane, positiviste, naziste, socialiste, ha messo in campo preparando la Shoà. E’ un lavoro non facile che suscita grande ostilità e minacce anche nel mondo ebraico, anche in Italia. Ma secondo me è il compito preciso, il più importante dovere dell’informazione ebraica. Un dovere verso noi stessi, innanzitutto, ma anche verso la società in generale: perché l’antisemitismo (di cui l’antisionismo fa parte come ha scritto anche il presidente Napolitano) è la bandiera e la punta dell’iceberg di forze, come il nazismo, il comunismo e l’islamismo, l’integralismo cristiano, che vogliono imporre un appiattimento sociale e un dominio delle idee e proprio per questo odiano l’ “ostinata” identità e differenza ebraica.
Ugo Volli