Izchaq…

La storia del mancato sacrificio di Izchaq, che abbiamo letto questo Shabbat, inizia con le parole un po’ enigmatiche “dopo queste cose, il Signore mise alla prova Avraham” (Bereshit 22:1). Di quali cose si trattava? Le risposte sono diverse. C’è chi ipotizza un’accusa diretta del Satàn, chi una sfida di virtù tra Ishmael e Izchaq. Sta di fatto che l’episodio del mancato sacrificio, in una dimensione del tutto religiosa, decisiva nel fondare la fede ebraica, si colloca nel testo biblico subito dopo la storia di un accordo di Avraham con Avimelekh, re filisteo, nel cui territorio Avraham si era parzialmente insediato. Era un accordo sostanzialmente politico di non aggressione, esteso alle generazioni successive. C’è allora chi spiega che “dopo queste cose” si riferisce proprio all’accordo Avimelekh-Avraham, e che anzi la prova che coinvolge Avraham e Izchaq sia una sorta di sanzione che scatta dopo l’accordo. Avraham, dando prova di poca fede, avrebbe ceduto sul piano politico. Per cui gli viene chiesta una prova decisiva di fede. È un’interpretazione forte e problematica, che mette in evidenza la contraddizione tra la fragilità politica, che porta a cedimenti e compromessi, e la forza della dimensione religiosa, che da sola basta a salvare, purchè ci si affidi a lei. È una riflessione che non perde mai di attualità, che può condurre all’estremismo, ma che non va trascurata, almeno come avvertimento sui rischi cui può portare la tentazione continua ebraica di fare politica.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma