Segnali inquietanti

Commentando su Sportmediaset il trasferimento di Javier Pastore, ex-regista del Palermo, e l’operato del suo procuratore, il presidente Maurizio Zamparini ha pensato bene di dichiarare che «una cosa simile accade in America, dove ci sono avvocati di estrazione ebraica che aspettano i clienti fuori dai tribunali e dagli ospedali, promettendo consulenze gratuite che poi si rivelano con provvigioni altissime». Il personaggio è noto per le sue intemerate calcistiche, ed è probabile che non sia affatto antisemita, visto che l’estate scorsa ha comprato il cartellino di Eran Zahavi, unico giocatore israeliano della Serie A.
Ma, come rilevato giustamente da Vittorio Pavoncello, presidente del Maccabi Italia, è proprio l’inconsapevolezza di Zamparini – che si è peraltro scusato in seguito all’intervento della Federazione Italiana Giuoco Calcio – a rendere questo episodio inquietante, perché rivelatore di un pregiudizio diffuso e non ritenuto pericoloso. In un’unica frase il patron del Palermo ha condensato una serie davvero notevole di stereotipi: gli ebrei sarebbero avidi, senza scrupoli, potenti, organizzati in una lobby, in grado di condizionare le istituzioni e la finanza. Personalmente sono contrario a drammatizzare situazioni simili, perché occorre dare il peso debito anche alla stupidità e all’ignoranza. Tuttavia una ragione di allarme c’è, perché queste posizioni possono acquisire maggiore spazio con l’aggravarsi di una crisi economica innescata da spregiudicate operazioni finanziarie. Bisogna prestare grande attenzione al linguaggio veicolato dai media e dagli opinion maker: quando si parla di «tecnocrazia», di «Europa delle banche», di «finanza internazionale», si finisce facilmente, temo, a parlare di ebrei.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas