La minaccia atomica e le altre minacce
Non passa quasi giorno, ormai, senza che la stampa non riferisca qualche nuova indiscrezione, notizia, intervista, previsione riguardo alla drammatica eventualità di un intervento armato volto a neutralizzare, per quanto possibile, la minaccia atomica iraniana. Se perfino un uomo di proverbiale prudenza e saggezza, come il Presidente Peres, ha avvertito l’esigenza, in più di un’occasione, dall’alto della sua carica istituzionale, di fare esplicito riferimento alla possibilità dell’opzione militare, ciò vuol dire, senza ombra di dubbio, che il livello di guardia è stato ampiamente superato, e che lo scenario tende a diventare, di giorno in giorno, sempre più fosco. D’altronde, il rapporto AIEA parla chiaro: l’Iran sembra vicinissimo alla possibilità di dotarsi di armi nucleari, così come parlano chiaro anche le autorità della Repubblica islamica: nessun passo indietro. La tragica escalation solleva diverse emozioni e considerazioni.
Innanzitutto, un senso di profonda angoscia per l’incubo rappresentato da un Iran in grado di usare armi atomiche e animato da espliciti propositi distruttivi verso lo Stato ebraico. A distanza di quasi settant’anni dalla Shoah e da Hiroshima e Nagasaki, c’è qualcuno che potrebbe e (molto verosimilmente) vorrebbe coniugare entrambe le cose, e si impegna per rendere possibile la realizzazione di un nuovo Olocausto atomico del popolo ebraico. Tale idea appare talmente spaventosa, talmente inaccettabile che si fa fatica a considerarla come vera. Eppure, lo è. E tornano alla mente le terribili parole di Primo Levi: “è accaduto, quindi può accadere ancora”.
All’angoscia, si accompagna poi un senso di incredulità, di smarrimento di fronte all’assoluta irrazionalità, insensatezza della deriva iraniana. Uno storico del futuro farà fatica a spiegare perché mai, a un certo momento, la cancellazione di Israele è diventato un obiettivo primario di Teheran. Esiste forse un contenzioso territoriale tra i due Paesi? L’Iran trarrebbe qualche vantaggio da un siffatto evento, sul piano politico, economico, strategico, energetico? Perché, dunque? Perché? Come spiegare la follia in cui pare caduto questo grande Paese, che vanta una gloriosa, millenaria civiltà? Ed è proprio l’assoluta mancanza di un “perché” a lasciare avviliti, sconcertati, attoniti. Come fare a ragionare, a cercare una soluzione, uno spiraglio, una via d’uscita in quella che pare una notte della ragione, un oscuramento dell’umana intelligenza?
All’angoscia, all’incredulità e alla trepidazione si aggiunge un enorme sentimento di rabbia, di frustrazione, di indignazione per la solitudine in cui, ancora una volta, come sempre, viene lasciato lo Stato ebraico. Teheran, ha ricordato, l’altro giorno, Peres, può colpire non solo Israele, “ma anche New York, la Cecenia o Mosca”, e il mondo civile dovrebbe fare fronte comune per sventare tale insopportabile minaccia. Ed è certo, infatti, che molti Paesi, se non tutti, guardano con preoccupazione alla prospettiva di un Iran dotato di armi nucleari. Ma, se New York, la Cecenia o Mosca possono essere, prima o poi, nel mirino, è convinzione diffusa (e certamente fondata) che si tratti, comunque, di bersagli di “seconda scelta”. Al primo posto, si sa, c’è Israele. Che sia Israele, quindi, a levare le castagne dal fuoco. E’ quanto è stato detto esplicitamente in diverse delle conversazioni diplomatiche abusivamente intercettate e divulgate da Wikileaks. Se lo farà, ovviamente, sarà condannato, ma, come si dice, “cosa fatta capo ha”.
Un pensiero, per finire, ai palestinesi e ai loro tanti supporter: la prospettiva della possibile esplosione di qualche bomba atomica a pochi chilometri, o a poche centinaia di metri, da casa propria non suscita nessuna preoccupazione? E gli innumerevoli “Forum Palestina”, “Free Gaza”, “Flotilla fighters” ecc. ecc. sono così poco interessati alla sorte e alla sicurezza della loro prediletta?
Francesco Lucrezi, storico