Irena Sendler, l’anima buona del ghetto di Varsavia
Ultimamente gira in internet una catena dedicata a Irena Sendler. È ovvia l’irritazione causata da un tale mezzo di comunicazione, tanto più se va a toccare argomenti tanto seri. Inoltre, come sempre avviene, il file abbonda di imprecisioni ed errori (perché, ad esempio, definire Irena “tedesca”?) Visto però che ogni medaglia ha il suo rovescio, anche la “catena” può aiutarci a riscoprire questa straordinaria figura di donna.
Irena Sendler (ovvero Sendlerowa, secondo l’uso polacco di declinare il cognome), era nata a Varsavia nel 1910. A partire dal 1942 fu a capo del Dipartimento Infanzia di “Żegota”, il Concilio Polacco per l’Aiuto agli Ebrei. In tutti i lunghissimi anni dell’occupazione tedesca, “Żegota” è stato l’unico raggruppamento capace di unire polacchi ed ebrei, militanti della sinistra, cattolici come Wladyslaw Bartoszewski, poi due volte ministro degli esteri nella Polonia democratica, e addirittura antisemiti dichiarati come Zofia Kossak-Szczucka, che di “Zegota” fu uno dei fondatori. In questo gruppo, composto da persone che comunque si faticherebbe a definire altrimenti che eroi, la polacca Irena Sendler è forse una delle figure più luminose e dalle capacità più straordinarie. Basti ricordare che dei 9000 bambini fatti uscire dal ghetto di Varsavia, lei sola riuscì a prendersi cura di almeno 2500. Il grande storico della letteratura Michal Glowinski nel suo romanzo autobiografico “Tempi Bui” (Giuntina 2004) scrive de “la grande, splendida Irena Sendler, l’anima buona di tutti coloro che si nascondevano”. L’attore yiddish Yonas Turkow, rinchiuso nel ghetto di Varsavia e la cui figlia fu salvata da Irena, la definisce «una figura splendida e luminosa. Ricercata perché patriota polacca e membro della resistenza, continuò a salvare bambini ebrei dallo sterminio, rischiando la vita». Quei bambini venivano sistemati presso famiglie polacche, in orfanotrofi e conventi; al termine della guerra Irena sperava di restituirli alle famiglie – ma la maggior parte delle famiglie erano rimaste a Treblinka. Arrestata e condannata a morte dai tedeschi, ferocemente torturata, venne liberata dalla resistenza polacca; dopo la distruzione del ghetto riuscì a salvare la documentazione della sua attività in un barattolo sepolto, poi rinvenuto fra le rovine della capitale.
Socialista da sempre, poi addirittura membro del Partito Operaio Polacco fino al 1968, ma anzitutto indipendente e originale nelle sue scelte: la storia e la personalità di Irena deviano troppo da ogni canone per venir iscritte all’interno di una narrazione mitica, come quella creata, ad esempio, intorno ad Oskar Schindler. Pensare che è stata “scoperta” solo nel 1999, e non in Polonia, e neanche in Europa: ma in un college del Kansas, i cui studenti hanno creato un progetto internazionale per popolarizzarne la vita e le opere, tuttora attivissimo (www.irenasendler.org).
Nel 2003 Irena, che sarebbe morta cinque anni dopo, fu insignita del premio Jan Karski, dal nome del mitico “corriere del ghetto”. Nella motivazione è scritto: “La signora Irena non ha salvato solo noi, ma anche i nostri figli, i nipoti e la generazione successiva. Ha salvato il mondo dall’odio e dalla xenofobia. Per tutta la vita ha pronunciato parole di verità, di amore e di tolleranza nei confronti degli altri.”
Laura Quercioli Mincer, slavista