Libertà di obiettivi
Che si chiamino piani di lavoro, programmazioni o altro, in questo periodo dell’anno dominano i pensieri degli insegnanti che li devono consegnare. Non basta elencare i contenuti, cioè gli argomenti che si intende trattare: bisogna ragionare per obiettivi didattici, spiegare quali competenze e capacità gli allievi dovranno raggiungere. Girano le e-mail, tutti chiedono consiglio a tutti: questa sarà una competenza o un’abilità? Questo andrà bene come obiettivo minimo o sarà troppo difficile? E in fondo noi insegnanti di lettere abbiamo la convinzione che, se mai qualcuno davvero leggerà il nostro piano di lavoro, andrà a vedere quali autori e opere intendiamo trattare e non baderà al resto. È un modo di pensare antiquato? Autoritario? In effetti c’è chi pensa che la scuola non debba imporre nozioni ma far acquisire un metodo di lavoro.
Mi viene in mente però l’Haggadah di Pesach: quattro tipi di figli e quattro modi di raccontare l’uscita dall’Egitto e di spiegare le regole del seder. E gli obiettivi didattici? Cosa ci aspettiamo dai figli? Che rafforzino la loro identità ebraica? Che siano in grado di organizzare un seder a loro volta quando saranno adulti? Che conoscano la storia? Che trascorrano una festa piacevole? Che riflettano? Che diventino più liberi? Sicuramente tutto questo e molto altro, ma l’Haggadah non lo dice esplicitamente (si suppone che “digrignare i denti” non sia da considerarsi un obiettivo didattico, ma casomai un prerequisito per poter raggiungere altri obiettivi); in questo modo sono lasciate ai figli la libertà e la responsabilità di decidere cosa fare di quello che è stato loro trasmesso.
A cosa serve studiare la letteratura italiana? Qualcuno si divertirà a recitare Dante a memoria, qualcuno sentirà rafforzata la propria identità, qualcuno rifletterà sugli insegnamenti contenuti nei testi, qualcuno migliorerà le proprie capacità di lettura e scrittura. Sicuramente è importante che la scuola non trasmetta solo informazioni ma insegni anche a pensare con la propria testa; d’altra parte, però, è anche giusto che ciascuno faccia della propria testa l’uso che preferisce.
Anna Segre, insegnante