Fanny e i suoi 1500 gatti di Bat Yam da sfamare

Sveglia alle quattro del mattino, un sacco di cibo in spalla e tanta buona volontà. Le bocche da sfamare sono tante, un’infinità, e la cinquantanovenne Fanny Zadok, la regina delle gattare di Israele, non vuole lasciare indietro nessuno. Sono circa 1500 i gatti che nutre e accudisce ogni mese nella sua città, Bat Yam. Un numero sconvolgente. Si alza all’alba per evitare le lamentele, le urla di chi non apprezza il suo volontariato, e percorre le strade della città per cibare questo esercito di randagi. Sarà pur vero quanto diceva Konrad Lorenz – il gatto è una creatura indipendente, che non si considera prigioniera dell’uomo e stabilisce con lui un rapporto alla pari – ma senza Fanny centinaia di gatti morirebbero di stenti e fame. “È la mia vita per la loro – spiegava la Zadok in un’intervista al giornale Haaretz – è un impegno che mi occupa 18 ore al giorno, se mi fermo i gatti muoiono”.
Così come accade in molte città israeliane: perché la questione dei randagi ha assunto in questi anni in Israele una proporzione tale da diventare un problema sociale. Basti pensare che in una Paese di sette milioni e mezzo di abitanti, la popolazione felina raggiunge le due milioni di unità. Certo non tutti sono randagi ma la maggior parte sì e si aggirano senza padrone né casa per le strade di Tel Aviv, Haifa o Gerusalemme. Tanto che, per la gioia di abitanti e amministrazione, è impossibile non vederli rovistare nella spazzatura o aggirarsi famelici nel retro di bar e ristoranti.
E se qualcuno pensa ad un’esagerazione, controlli il sito del ministero per l’Ambiente israeliano che definisce il sovrappopolamento dei randagi come uno dei più gravi problemi del Paese. Tre i fattori che hanno contribuito al “disastro felino”: cattive condizioni sanitarie, con facile reperibilità di rifiuti e avanzi di cibo; proprietari irresponsabili che abbandonano i propri gatti e i loro cuccioli in strada per andare in vacanza o perché non riescono più a tenerli. E infine dito puntato anche nei confronti dei gattari inesperti, che distribuiscono cibo senza badare a quantità e numero di gatti nella zona, sconvolgendo spesso gli equilibri. Fermare l’onda felina appare complicato. Sarebbe infatti necessaria una sterilizzazione su larga scala: secondo alcuni studi se non si provvede a sterilizzare il 70% dei gatti per ciascuna zona, l’impatto della misura è pressoché nullo. Questa operazione ha però un costo, 150 shekel (30 Euro) a gatto. A Tel Aviv, per esempio, secondo la dottoranda in zoologia Hilit Finkler sarebbe necessario per il prossimo anno sterilizzare almeno 15mila gatti per un costo totale di 450mila euro.
Da anni amministrazioni locali assieme associazioni no-profit e veterinarie cercano di cooperare per risolvere il problema. Sono addirittura arrivate due sentenze dell’Alta Corte di Giustizia israeliana che sancivano i diritti dei gatti randagi, proibendo fra l’altro ai veterinari l’eutanasia su vasta scala.
Intanto associazioni come la Società israeliana degli amanti dei gatti (fondata nel 1966) e privati cittadini hanno provveduto a proprie spese ad avviare un programma di cura e sterilizzazione dei randagi. E c’è chi, per amore dei gatti, ha addirittura messo in pericolo matrimonio, unità famigliare e patrimonio. Fanny Zadok è arrivata a farsi concedere dalla banca un prestito di ventimila euro. “Ha bisogno di un aiuto psichiatrico – commentava amaro sulle pagine di Haaretz il marito della Zadok – aiuta solo i più bisognosi, persino a spese dei propri figli”. Un desiderio patologico di dare affetto che si riversa sui gatti. Figlia di sopravvissuti alla Shoah, Fanny ha recentemente affermato che “probabilmente c’è una connessione in tutto questo. Io non posso capire cosa passarono i miei genitori. A casa mia non si respirava esattamente la gioia di vivere. In ogni caso non credo che loro sarebbero fieri di me, di sicuro non capirebbero”. Non capirebbero perché si alza ogni mattina alle quattro, perché percorre in lungo e in largo la città con un sacco di cibo in mano, perché dedica la sua vita a salvare dei gatti mentre quasi abbandona la sua famiglia. “Nella zona industriale di Bat Yam, un gatto non può sopravvivere – spiegava la regina gattara alla giornalista Rona Segal – Non riesco a vederli morire di fame. Quando ho iniziato erano affetti da scabbia, avevano virus nei polmoni. Ora sono tutti in cura da me. Se mi fa domande sul perché lo faccio, apparentemente non ascolta il suo cuore. Pensa razionalmente. Io uso solo il cuore”. Difficile fermare questa vocazione da salvatrice, come ammette lo stesso marito, che dopo quarant’anni, nonostante tutto, è ancora al suo fianco.
Altro discorso è quello dei gatti; delle migliaia di randagi che imperversano nelle città israeliane, spesso malati, oggetto della stupida violenza umana e comunque pronti a moltiplicarsi. Il loro numero impressionante altera l’ecosistema. Fermarli è necessario. Il come resta ancora da definire.

Daniel Reichel (Pagine Ebraiche, dicembre 2011)