aramaico…

Nel Talmùd, Meghillah 9 a, si sostiene che l’unica parola aramaica presente in tutta la Torah sarebbe Yegàr Sahadutà (Bereshìt, 31; 47), che indica il mucchio di pietre innalzato da Yaakòv e Lavàn dopo la loro riconciliazione. Questo mucchio di testimonianza, che Yaakòv si ostina a definire nella lingua ebraica, chiamandolo “Galèd”, diviene il segno esterno e visibile del patto stipulato tra due parenti estranei e incompatibili. Ma è assai significativo che l’unica traccia di parlata volgare nella Torah è quella introdotta da Lavàn, il paradigma dell’ambiguità. L’aramaico infatti è lingua ambigua, forse proprio perché troppo imparentata con l’ebraico. Il Talmùd si interroga, in modo retorico, dove si troverebbero parole aramaiche nei testi dei Tefillìn e delle Mezuzòt. La risposta che si intralegge è che nelle intime parole, conservate nelle Mezuzòt – nelle nostre case – e nei Tefillìn – nei nostri cuori e nelle nostre teste – non si troverebbe, diversamente dal racconto della Torah, alcuna traccia di bilinguismo. Come se per questi segni più intimi non ci potessero essere compromessi e tracce di ambiguità.

Roberto Della Rocca, rabbino