Punizione collettiva

È già stato scritto da più parti che il giorno di ieri, con l’entrata dell’ex presidente d’Israele entro le mura del carcere Maasiyahu, è stato buono e cattivo insieme. Buono perché è stata dimostrata l’indipendenza esemplare del sistema giudiziario israeliano, cattivo perché dimostra quanto in basso può arrivare il costume politico di un sistema democratico occidentale quale quello israeliano. Perciò non voglio qui ripetere le stesse cose, ma mettere il dito su un altro punto: come può succedere che il Parlamento di un paese così culturalmente e socialmente avanzato possa eleggere a presidente della repubblica un parlamentare quasi anonimo, e lo scelga rinunciando all’altro candidato, Shimon Peres, in molti sensi uno dei “padri della patria”.
Le previsioni che si potevano leggere su quasi tutti i giornali di quel giorno erano completamente sbilanciate a favore di Peres: l’uomo che aveva contribuito in modo decisivo alla potenza militare d’Israele negli anni ’50 e ’60, che aveva avuto un ruolo decisivo nella fornitura degli aerei Mirage dalla Francia (che furono poi decisivi per la vittoria della guerra dei sei giorni), il motore dei colloqui di Madrid (poi silurati dal primo ministro Shamir), il protagonista degli accordi di Oslo, Premio Nobel per la Pace, si trovò quel giorno di fine luglio del 2000 a contendere l’elezione a presidente della repubblica con un parlamentare di serie B, più giovane di trent’anni, poco noto e poco attivo ma ben esperto nel piccolo cabotaggio del gioco politico di partito. Katzav “si era fatto le ossa” come uno dei giovani del Herut all’ombra di Begin, insieme a David Levi e altri nuovi approdati alla politica, di origine orientale, con una carriera meteorica che lo aveva portato anche alla carica di sindaco di Kiriat Malachi, una cittadina della periferia del sud.
Detto questo, si capisce come fu generale e profonda la sorpresa quando il presidente della Keneset Avraham Burg dette voce al risultato della votazione.
La spiegazione è semplice e la si può riassumere in poche parole: due grandi blocchi si cimentarono quel giorno, e la differenza numerica fra loro era esigua ma determinante a favore di Katzav (63 contro 57 al secondo giro). Intorno a lui si erano messi d’accordo i parlamentari della destra e dei partiti religiosi, mentre Peres godeva dell’appoggio della sinistra, del centro e anche di alcuni parlamentari di destra, ma evidentemente non abbastanza per una vittoria che sembrava scontata, se non altro a causa dei suoi meriti passati. Ma l’errore di Peres fu proprio quello di fidarsi troppo delle corone del passato, mentre Katzav in quei giorni passò la maggior parte del suo tempo a contattare i parlamentari di tutte le tendenze e a “ricamare” la sua elezione con un lavoro capillare di convincimento. La piccola politica di coalizione ebbe la meglio sulla grande logica del buonsenso, e così fu che per i sei anni successivi la figura che rappresentò Israele di fronte a se stesso e alle nazioni fu una persona che si è poi rivelata essere un delinquente comune. Stento a credere, ma ha ragione Sergio Della Pergola quando scrive su Unione Informa che ieri gli Israeliani hanno avuto la loro punizione collettiva.

Daniel Haviv, alchimista