Ya’akov…

All’inizio della parashà di Vayishlàch Ya’akòv comunica a Esàv una notizia apparentemente banale, di aver cioè abitato con Lavàn ma secondo Rashì il verbo “gàrti” – ho abitato – nasconde due significati. Deriva dalla radice “gher” – straniero – e con questa parola Ya’akòv comunicherebbe a Esàv di essere rimasto uno straniero in casa di Lavàn e di non essere diventato una persona importante. “Gàrti” però ha anche il valore numerico di 613, corrispondente alle 613 mitzvòt che Ya’akòv è riuscito a osservare in condizioni estremamente difficili. Ya’akòv cioè comunicherebbe a Esàv di essere stato capace di lottare per mantenere la propria identità e di essere determinato a farlo anche in futuro. Le due spiegazioni di Rashì descrivono due atteggiamenti apparentemente contraddittori. Da una parte l’umiltà di chi dice “sono rimasto uno straniero”, dall’altra la forza e l’orgoglio di chi lotta per mantenere la propria identità. Questi due atteggiamenti sono in realtà fondamentali nel nostro rapporto con l’ebraismo. Da una parte è assolutamente necessario l’atteggiamento umile di chi vuole essere “èved Hashèm” – servo di Dio. D’altra parte però osservare le mitzvòt richiede un grande sforzo per poter essere servi di Dio e non servi dei propri istinti e desideri o delle mode culturali della società circostante.

Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano