Se niente importa
A Napoli echeggiava nei giorni scorsi la domanda «Esiste un modo ebraico di fare politica?». Più volte si è sfiorato il tema della Shechità, che mi appassiona particolarmente; nel corso di un convegno organizzato alcune settimane fa, i rabbini hanno posto una domanda a mio giudizio cruciale: perché ci si preoccupa dei pochi secondi in cui l’animale viene ucciso – lo stordimento della bestia ridurrebbe, forse, di venti/trenta secondi la sua sofferenza – e non di tutta l’esistenza infame che gli facciamo fare?
Del tutto casualmente ho concluso in questi giorni «Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?», un libro, a metà tra giornalismo e letteratura, di Jonathan Safran Foer. L’autore, un ebreo americano, si occupa del consumo di carne e ragiona sul nostro tempo partendo da questo argomento. Il quadro è sconvolgente: gli allevamenti intensivi inquinano più delle automobili; gli animali, al di là delle condizioni oscene in cui sono tenuti, vengono modificati geneticamente e imbottiti di farmaci; polli e maiali sono i responsabili della quasi totalità delle nostre influenze e malattie, e veicoleranno le prossime pandemie (previste a breve dall’Organizzazione mondiale della sanità); noi tutti siamo contemporaneamente ignari e complici di questo massacro, e l’industria zootecnica lavora attivamente perché questi campi di sterminio (50 miliardi di polli ammazzati ogni anno) e i loro danni collaterali siano assolutamente invisibili. Il rigore di questa ricerca mi ha ricordato «Gli scomparsi» di Daniel Mendelsohn, uno straordinario libro sulla Shoah. In questo atteggiamento acribioso c’è molto della tradizione esegetica ebraica. Ma in questa cura c’è anche l’etica della parola e dell’importanza di preservarla, il valore della precisione e quello della partecipazione, la condanna di chi si volta dall’altra parte. Su questa tensione etica è bene che si innesti un agire politico. Non riflettere su quello che siamo diventati è colpevole. Siamo la civiltà nella storia che mangia più carne e che la paga di meno, perché non ci importa nulla del futuro del pianeta e neanche del nostro, ma solo di consumare il più possibile. Mi piacerebbe che su questa questione si levassero molte più voci ebraiche. Sarebbe un modo molto ebraico, e molto etico, di fare politica.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas