Idealizzazioni negative

Anna Foa ci invita a considerare con la necessaria attenzione gli eventi accaduti a Torino in questi giorni, dove un campo nomadi è stato incendiato da una folla di tumultuosi astanti. La “gente”, tanto per intenderci. Riprendo la questione poiché mi pare rilevante anche per l’ebraismo italiano. Di passata, ricordo che l’accostamento tra zingaro ed ebreo è un elemento ricorrente negli atteggiamenti pregiudiziosi, almeno per come ce lo vanno confermando le inchieste sociologiche in materia. Riassumo quindi sinteticamente le dinamiche. Una ragazzina di sedici anni ha un rapporto intimo con il suo fidanzato. La famiglia le ha imposto una sorta di segregazione sessuale, sottoponendola a periodiche visite dal ginecologo per essere certi che la “verginità” fosse preservata. Dinanzi alla perdita di sangue, causata dal rapporto, si spaventa. Non conosce il suo corpo e non conosce neanche il mondo. Teme soprattutto la reazione e le sanzioni, prevedibilmente dure, dei genitori. Ha rotto un tabù, ne pagherà la colpa. Si inventa quindi quella che per lei è una “scusa” e che invece si rivela da subito una drammatica menzogna: è stata violentata da due nomadi, che da tempo, insieme ai loro pari, girano minacciosamente per il quartiere, ad alta densità popolare. Dell’identità dei due è certa anche perché “puzzano”. La voce di quanto sarebbe avvenuto fa in fretta a circolare e monta la rabbia popolare. Gira ben presto un volantino dal titolo: «Adesso basta, ripuliamo la Continassa dall’etnia rom». È il documento di convocazione di una “fiaccolata” che dovrebbe esprimere lo sdegno e la riprovazione collettiva. Entrano in gioco appartenenti alle tifoserie calcistiche, che sanno bene come militarizzare una manifestazione. Alcuni politici locali decidono di prendere parte all’iniziativa. Che ben presto si traduce in un vero e proprio pogrom, ai danni di uno degli insediamenti dei nomadi. Le fiaccole si trasformano in strumenti per alimentare un fuoco purificatore: quello degli oggetti degli “stranieri”, in attesa, chissà, di ardere anche qualche corpo. Qualcuno urla, nel mentre, che i nomadi non c’entrano con lo stupro. Ma poco importa. Polizia e politici sono sopraffatti delle circostanze: per così dire, la cosa gli è sfuggita di mano. Fine dell’“evento”, con la coda, non meno sgradevole, che la sedicenne ammette pubblicamente di essersi inventata tutto. Perché la cosa ci riguarda? Poche parole, per essere però chiari. La dinamica del capro espiatorio ha funzionato alla perfezione in tutta questa drammatica vicenda. Una comunità impoverita e impaurita ha dato forma alle sue angosce, in ciò assecondata – ancorché involontariamente – dai politici, identificandole nella presenza minacciosa di estranei che, per il fatto stesso di esistere, minerebbero la sicurezza collettiva. Il passaggio dalle idealizzazione negative (nomadi=nemici) alle vie di fatto (nemici=eliminazione) si è consumato in un battere di ciglia. La subcultura di riferimento delle nostre società è estremamente povera, infarcita com’è di merci e poverissima di saperi: al senso di pericolo si trasforma in un codice virale di aggregazione, dove il fare corrisponde al reagire violentemente. Si tratta di fare piazza pulita. Di chi sta sotto, l’underclass degli zingari/nomadi, che minaccia gli spazi fisici, contendendoli agli “autoctoni”. Ma anche di chi si pensa stia sopra, l’upperclass, degli “speculatori”. Basta che ci sia un soggetto politico che legittimi quest’ordine di pensieri, che sono parte integrante della nostra modernità. Le cose, poi, possono tranquillamente seguire, senza mettere in discussione la rispettabilità di una società che è sì povera ma “sana” (perché depurata dagli elementi di perturbazione). Almeno nell’autoconsiderazione che nutre per sé. La cosa non ci riguarda, ricordandoci qualcosa di un passato che non è trascorso fino in fondo perché si ripresenta sotto tante spoglie, tutte però minacciose?

Claudio Vercelli