Davar acher – Creatività e veleni

Come ha scritto il grande giurista ebreo americano Alan Dershowitz in un articolo pubblicato in Israele dal Jerusalem Post, è veramente stupefacente la creatività che viene impiegata nella stampa e nella politica mondiale per parlare male di Israele, il capro espiatorio che tutti amano odiare, molti ebrei compresi. Dershowitz richiama fra l’altro un episodio che a fatto rumore negli Stati Uniti, anche se da noi non se n’è parlato: un’opinione pubblicata sulla pagina degli editoriali del “New York Times”, giornale simbolo dell’intellighenzia ebraica “liberal” della East Coast, in cui si rimproverava Israele per la libertà concessa agli omosessuali, dipingendola come un pretesto per coprire l’apartheid e la repressione dei palestinesi (chi volesse leggere la traduzione italiana di questo articolo veramente surreale, lo trova qui.
Sullo stesso New York Times, più o meno negli stessi giorni, Thomas Friedman accusava Israele non di essere troppo fintamente tollerante in materia sessuale, ma al contrario di essere troppo repressivo con le donne, per via degli autobus degli haredim, dove i sessi sono separati. Lo stesso Friedman, tipico esempio di ebreo che si diverte moltissimo a dar lezioni a Israele, scriveva nel medesimo articolo che gli applausi del Congresso americano a Netanyahu visti qualche mese fa “era stata pagata e comprata dalla Israel lobby”. (per chi non ci crede è tutto qui).
La sua posizione riecheggia quella di Hilary Clinton che pochi giorni fa per le stesse ragioni paragonava Israele nientemeno che all’Iran. Per fortuna almeno Hilary non ha rpporti con l’ebraismo, salvo il marito di sua figlia. Naturalmente sia Friedman che Clinton citano anche le leggi “liberticide”: come proibire il boicottaggio di enti pubblici o privati (è reato anche in Francia o negli Usa), aumentare le multe per la diffamazione a mezzo stampa a un livello inferiore a quello italiano, far passare ai candidati giudici un esame da un’apposita commissione parlamentare (in Italia la metà è eletta dal parlamento, negli Usa li nomina il Presidente, in Israele la Corte Suprema coopta i suoi nuovi membri). Insomma lo sport di parlar male di Israele è diffusissimo dappertutto e anche gli ambienti ebraici – certi ambienti ebraici – non si fanno pregare.
Qualcosa di analogo è accaduto con la rampa di legno che da accesso alla porta occidentale del Monte del Tempio, la sola per cui possono passare i non musulmani. A suo tempo la struttura ne aveva sostituito un’altra crollata per un terremoto, e gli arabi avevano protestato vivacemente. Oggi la rampa è invecchiata ed è diventata insicura, bisognerebbe sostituirla completamente. Ma gli arabi si oppongono, dicendo che fa parte del torbido piano sionista per abbattere le moschee edificate in cima alla montagna. In emergenza, l’ingegnere capo del comune di Gerusalemme ne ha decretato la chiusura perché pericolosa; ma il “centro palestinese dei diritti umani”, echeggiato da tutto il mondo arabo e islamico, dall’Unesco e magari da qualche cancelleria occidentale, ha dichiarato che la chiusura non è niente di meno che un “crimine di guerra”. E nessuno ha riso loro in faccia. Fatto sta che il governo israeliano, per evitare i minacciati scontri religiosi, è obbligato a tenere in piedi una costruzione di legno e tubi innocenti, che rischia di crollare in ogni momento. Ma se poi qualcuno si farà male nel caso di un disastro, è chiaro che la colpa sarà di Israele.
Ancora un esempio: quando dei giovani “coloni” decidono deplorevolmente di scontrarsi con esercito e guardie di confine per protestare contro lo smantellamento di un avamposto, la colpa è dei “coloni”, dunque di Israele che li tollera. Quando i “militanti” arabi e gli estremisti europei venuti in “Palestina” per fare turismo della protesta si scontrano ogni settimana in forma organizzata con esercito e guardie di confine per protestare contro il “muro”, quelle sono manifestazioni “pacifiche” di massa che meritano l’appoggio dell’Autorità Palestinese delle organizzazioni non governative, della sinistra e anche dei governi europei; la colpa è comunque di Israele che li reprime. Se non li reprimesse e loro riuscissero ad abbattere la barriera di sicurezza, i terroristi avrebbero campo libero e ricomincerebbero a far stage in autobus e ristoranti; la colpa sarebbe comunque di Israele, incapace di tutelare i suoi cittadini. Esempi classici di quella situazione patologica che Gregory Bateson chiamava “doppio legame”: qualunque cosa fai o non fai, hai torto. Perché la tua esistenza stessa è un torto. Questo, il “peccato originale di Israele” è del resto la premessa politica dell’azione palestinese, condivisa dagli storici “revisionisti” alla Pappè e in maniera più o meno tacita da molti politici europei.
Chi non segue con attenzione le cose del Medio Oriente non può rendersi conto di quanto accanita e quotidiana sia la guerra psicologica e mediatica che assedia Israele, con la più o meno consapevole complicità di coloro che in Israele e nel mondo ebraico fanno prevalere sulla responsabilità collettiva il loro settarismo o il loro rimpianto per la grande illusione (o piuttosto la grande truffa palestinese) del processo di pace. Che siano liberi di parlare è giusto, fa parte di quella grande forza di Israele che è la sua democrazia. Ma che possano essere contraddetti, che possano essere mostrati i loro legami organizzativi o ideali con le forze nemiche di Israele, fa pure parte della democrazia e della liberà di parola.

Ugo Volli