Farsi notare
La notizia dell’arresto del neonazista romano Maurizio Boccacci e dei suoi camerati del gruppo Militia, con relativa pubblicazione di un variegato florilegio di suoi pensieri e progetti (l’Olocausto è un’invenzione, negri ed ebrei inquinano l’integrità della razza, Israele non deve esistere, Riccardo Pacifici deve essere fatto esplodere, così da trasformare “un maiale in angelo” ecc. ecc.), suscita un composito mix di sensazioni. Per quel che riguarda, specificamente, il personaggio citato, appare difficile trovare le parole adatte a esprimere il nostro stato d’animo, oscillante tra commiserazione, ripugnanza, sconforto. Una certa perplessità riguardo all’appartenenza a una medesima categoria antropologica fa freno, forse, al sentimento dell’indignazione, che sorge quando si vede fare qualcosa che non dovrebbe essere fatto, da parte di qualcuno che, appunto, non dovrebbe farlo. Ma non siamo tanto sicuri che Boccacci potrebbe agire e pensare diversamente da come egli ha sempre agito, sempre pensato. Egli ‘è’ Boccaci, non ‘fa’ il Boccaci, per cui non possiamo indignarci per il semplice fatto che esista. Dovremmo prendercela con il Creatore, e non ci parrebbe rispettoso.
Diverso è il problema della difesa che la società dovrebbe approntare contro il pericolo evidentemente rappresentato da siffatti fenomeni. Non sappiamo, mentre scriviamo, se Boccaci sia ancora in prigione, né ci interessa granché saperlo. Dalle patrie galere, entra ed esce, ed è la più evidente smentita della presunta “funzione rieducativa della pena” che vorrebbe la nostra Costituzione. È chiaro che ogni nuova detenzione non farà altro che alimentare il suo livore, il suo risentimento verso la società cattiva, così come il suo orgoglio di appartenere ai pochi, eletti rappresentanti dei “valori occidentali”, conculcati dal corrotto meticciato dominante. Per fare un po’ di psicologia a buon mercato, crediamo di capire il meccanismo che può essere scattato, in anni lontani, nei complessi – ma, forse, mica poi tanto – meandri cerebrali di Boccacci: quel gusto istintivo di essere “voce contro”, “bastian contrario”, solo contro tutti, “brutto, sporco e cattivo” in un mondo che vorrebbe tutti allineati: buoni, beneducati e tanto, tanto noiosi. È quell’impulso alla disobbedienza, alla trasgressione che tutti, più o meno, abbiamo provato, almeno qualche volta, da bambini, che ci faceva desiderare di fare qualcosa di proibito per il solo fatto che lo era, per dare prova di carattere e di personalità, di non omologazione al grigio mondo dei “grandi”. Per quelli che andavano male a scuola, soprattutto, era l’unico modo per farsi notare, per dimostrare, in qualche modo, di esistere.
Il mondo dei grandi, quello in cui “siamo tutti fratelli”, al cinquantaseienne Boccaci, evidentemente, continua ad apparire uggioso. I maestri, antiquati, pedanti e banali. Rimandarlo a scuola non serve, anzi, è peggio. Forse, come tentativo, potremmo mandarlo a stare un po’ a Gaza, o in Siria, o in Iran. Lì, le cose che lui dice sugli ebrei, sulla Shoah e su Israele le dicono tutti, Boccacci perderebbe ogni originalità, diventerebbe uno dei tanti, e andrebbe certamente in crisi. Forse proverebbe a fare il democratico? Difficile: troppa sintassi, troppi condizionali e congiuntivi. Ma potrebbe venirgli voglia, per esempio, di ritirarsi nel deserto, in solitudine. Varrebbe la pena di provare. A condizione, se possibile, che ci resti.
Francesco Lucrezi, storico