Guerra santa, tragici deliri

Che necessitino, ora più che mai, esecrazione e condanna, è fuor di discussione. Ancora di più denuncia e richiesta di vigilanza alle autorità competenti. Tutto questo occorre, dinanzi al ripetersi, oramai costante, degli attacchi via web contro l’ebraismo italiano e verso alcuni suoi esponenti, i maggiormente esposti per via della loro attività pubblica. Non di meno, però, a questo punto della situazione, tutto ciò non è più sufficiente da solo. L’ennesima manifestazione di antisemitismo on line, con la pubblicazione da parte del gruppo Holy War dei volti di nove collaboratori del sito Roma ebraica, accompagnati dalla squallida associazione grafica tra la svastica e il Maghen David, il tutto corredato di una serie di invettive deliranti, deve farci riflettere. Non abbiamo strumenti per tutelarci da sé né, giustamente, la legge lo permetterebbe. L’unica risorsa disponibile è la protezione che gli organi di uno Stato democratico sanno e vogliono offrire ai loro cittadini. Tuttavia la riflessione, che non è sterile esercizio ma comprensione di quello che sta avvenendo per meglio agire dinanzi ai pericoli incombenti, ci deve accompagnare e aiutare una volta ancora di più. Poche considerazioni, quindi, in ordine di successione. La prima di esse è che Holy War usa un linguaggio non casuale, semmai “raffinato” o comunque appropriato rispetto all’obiettivo di delegittimare i propri target. Da una parte invita i cattolici ad un maggiore «impegno» contro «l’intolleranza ebraica». I nomi e i volti dei nove “proscritti”, definiti «nazisti-ebrei» nonché «schiavi di Satana», sono indicati come parte della «cupola mafiosa ebraica italiana» che starebbe agendo per «la distruzione della Chiesa cattolica». Dall’altro, ciò denigrando, associa nazismo ad ebraismo attribuendo, con un capovolgimento logico, al secondo intenti che storicamente sono parte del primo. In sostanza: gli ebrei sono i “nuovi” nazisti. Lo starebbero a dimostrare le vicende del conflitto israelo-palestinese (non è detto esplicitamente ma per associazione di idee si può facilmente pervenire a tale esito, peraltro assai diffuso nel senso comune di molti), epitome di una più generale attività complottistica contro gli ordini della “giustizia divina sulla terra”, di cui una certa idea di Chiesa cattolica, cara ai tradizionalisti lefebvriani, ad esempio, rimarrebbe l’ultima garante. Allora, viene da pensare che le menti che hanno ideato questi testi, così come le mani che le hanno tradotte in un concreto manifesto, non siano quelle del gruppetto dei “soliti fanatici”, come oramai ci siamo fin troppo spesso abituati a credere, ma segmenti piuttosto definiti di mestatori che sanno di potersi celare dietro il radicalismo per portare avanti un’opera di delegittimazione dell’ebraismo e, con esso, di indebolimento della stessa coesione sociale collettiva. Un’altra considerazione, che nasce dal riscontro dell’ennesimo sovvertimento dei ruoli, è quella che si desume dal fatto che il gruppo di Holy War si fa alfiere della tutela dei “diritti” di una maggioranza, quella cattolica, che sarebbero minacciati dalla presenza di una minoranza, definita per l’appunto la «cupola mafiosa ebraica italiana». Anche qui, ad assurgere al ruolo di vittime, è la parte più forte. Da notare anche il richiamo alla parola mafia, che nel linguaggio di senso comune ha molti significati, tutti però univocamente negativi. Chi ha scritto quelle parole, in buona sostanza, sapeva non solo qual è il suo bersaglio ma anche come meglio raggiungerlo attingendo al lessico comune. A ciò va associata un ulteriore riscontro: la nuova frontiera dell’antisemitismo è offerta dalla detonante miscela che mescola antisionismo a negazionismo. Le due cose si alimentano vicendevolmente. Non a caso il gruppo romano di Militia ha sempre battuto il chiodo dell’«Olocausto» come «menzogna». E, in immediato riflesso, di Israele come carnefice. Se il gruppo che trova in Maurizio Boccacci il suo leader è molto interno alle dinamiche dell’estrema destra capitolina, esiste invece un’area di consenso, ben più grande, ai deliri di cui il radicalismo si fa portavoce. Quest’ambito, più subculturale che politico, è quello “rosso-bruna” che salda l’avversione al «capitalismo delle banche» con la difesa di ciò che chiama «tradizione», nel nome del rifiuto della natura “etnica” che il primo esprimerebbe di contro alla seconda. Laddove l’etnia, il nome nuovo dato all’altrimenti impronunciabile parola «razza», va da sé che è quella «ebraica». Un film già visto? Sì, e purtroppo facile da rivedere.

Claudio Vercelli