In cornice – Luci italiane

Cosa ha di tanto particolare l’ebraismo italiano? La risposta si basa spesso su argomenti deboli, su aspetti che non sono né originali né antichi. Si citano i minhaghim e i canti sinagogali, che però sono quasi tutti ottocenteschi e non di rado suonano risorgimentali; oppure la struttura delle nostre Comunità, anche quella importata poco più di un secolo fa, e che oggi mostra tutta la sua debolezza; oppure la tolleranza religiosa, che ha permesso la convivenza fra ortodossia di facciata e riformismo di fatto, ma non ha certo sconfitto l’assimilazione; e via dicendo. Certo, possiamo percepire l’energia dell’ebraismo italiano tornando agli scritti e ai fatti di grandi del passato (da Todos del Talmud, a Ovadià Bertinoro etc). Ma c’è dell’altro. Converrebbe guardare anche all’oggettistica ebraica prodotta qui nel corso dei secoli e fino a oggi: un patrimonio davvero straordinario e originale, un connubio spesso riuscito fra arte in voga e pensiero ebraico. Visto che siamo a Channukkà, provate a cercare su Internet quante, delle Channukkiot conservate nei maggiori musei al mondo, sono italiane. Una proporzione incredibile. Volete due esempi? Date un’occhiata al Jewish Museum di New York e alla Stieglitz Collection di Gerusalemme; le channukkiot provenienti da queste parti sono tutt’altro che banali, frutto di un occhio di chi apprezza il mondo circostante ma non lo copia; piuttosto vi sa aggiungere il proprio portato culturale. Un pezzo della peculiarità dell’ebraismo italiano sta lì.

Daniele Liberanome, critico d’arte