Genocidi e negazionismi
La recente crisi diplomatica tra Francia e Turchia – a seguito dell’approvazione, da parte della Camera bassa del Parlamento francese, di una proposta di legge tesa a sanzionare penalmente la negazione del genocidio armeno da parte dell’impero Ottomano (consumato tra il 1915 e il 1918) – solleva una serie di questioni.
Per quel che riguarda l’iniziativa legislativa francese – al di là della nobiltà delle sue dichiarate intenzioni, e delle motivazioni di politica interna ad essa sottostanti (probabilmente, meno nobili) -, si possono richiamare le considerazioni e le perplessità da varie parti sollevate a proposito dell’opportunità di introdurre, anche nel nostro ordinamento, una sanzione penale del negazionismo (inteso, specificamente, come negazione o banalizzazione della Shoah). Personalmente, a tale proposito, ebbi a dire (Newsletter del 13 e del 20 ottobre del 2010) che il revisionismo e il negazionismo rappresentano già, di per sé, delle forme di istigazione all’odio razziale e religioso, e, in quanto tali, risulterebbero già sanzionabili ai sensi della normativa vigente. È del tutto evidente, infatti, che chi nega la Shoah non si limita a dire un’assurdità storica (al pari, per esempio, di negare le guerre puniche o le guerre d’Indipendenza), ma compie un atto deliberatamente ingiurioso e aggressivo, volto a colpire, insieme, gli ebrei di ieri e quelli di oggi, nella loro globalità e identità. Non c’è nessuna differenza, da questo punto di vista, tra dire che la Shoah non è mai avvenuta e asserire, per esempio, che gli ebrei (o gli zingari, i negri ecc.) sarebbero una razza inferiore. D’altra parte, è evidente che l’incitazione all’odio razziale è una fattispecie ‘aperta’, onnicomprensiva, che può comprendere qualsiasi espressione di pensiero volta a perseguire l’obiettivo del disprezzo identitario e della sopraffazione etnica. Potrebbe essere pertanto opportuno, nel nostro ordinamento, anziché una nuova norma “ad hoc” sul negazionismo, un affinamento sul piano interpretativo della normativa esistente, e, soprattutto, una legge volta a sanzionare la specifica, grave realtà del negazionismo in sede didattica, che meriterebbe senz’altro di essere stroncato con maggiore severità: un professore di storia che spieghi ai suoi studenti che la Shoah non è mai avvenuta è uguale a uno di medicina che insegni a praticare l’anestesia col curaro, o a un docente di ingegneria che dica che nelle fondamenta di un palazzo deve essere inserita sabbia anziché cemento.
Per quanto riguarda la legge francese, il problema che si pone è quello dei limiti, dei confini che la sanzione penale del negazionismo debba o possa incontrare. È evidente, infatti, che parrebbe discriminatorio punire penalmente la negazione di una forma di genocidio (per esempio, quello ebraico) e non di un altro (come quello armeno). Si può forse ridurre la questione a un problema puramente numerico? Dire che si può parlare di genocidio a partire da un certo numero di vittime? E chi stabilisce questo numero? E chi “fa il conto”? La domanda di fondo, a mio parere, è la seguente: esiste, in Francia o altrove, un movimento di opinione volto a colpire specificamente il popolo armeno, la sua memoria e la sua identità, all’interno del quale collocare la negazione del genocidio armeno? Rappresenta, tale negazione, una forma di incitazione all’odio razziale e religioso, al pari della negazione della Shoah? La superficiale conoscenza del problema mi impedisce di fornire, sul punto, una ponderata risposta.
Pochi dubbi, invece, riguardo alla reazione stizzita da parte del governo turco, che si è sentito direttamente colpito dall’iniziativa francese, al punto da richiamare in patria l’ambasciatore. Strano che un governo si occupi direttamente di storia, come un Professore di liceo. Strano che difenda a scatola chiusa gli atti effettuati da un altro governo, quasi un secolo prima, come se fossero gli atti propri. Nessuno più delle autorità di Ankara dovrebbe essere interessato a rendere giustizia alle vittime dell’impero ottomano, e a deplorare i crimini compiuti dai governanti di allora. Noi italiani non ci offendiamo certo quando si richiamano i crimini del fascismo, o della colonizzazione in Libia o in Somalia. Non ci dicono i turchi, da decenni, che la Turchia di oggi è pacifica e democratica, ben diversa da quella militaresca e dispotica dell’impero ottomano (che, oltre a sterminare gli armeni, oppresse e malgovernò mezzo mondo), con le cui malefatte non ha assolutamente niente più a che fare? Evidentemente, non è così. I turchi di ora sono gli stessi di allora, di sempre. E sono sempre, sono sempre stati, buoni e innocui. Non hanno mai decapitato i martiri di Otranto, non hanno conquistato Costantinopoli, non hanno scuoiato vivo Bragadin, non hanno mai torto un capello a un solo armeno. Prendiamo atto.
Francesco Lucrezi, storico