…negazionismo

La recente legge approvata in Francia contro la negazione del genocidio armeno, ha fatto riaprire la discussione, anche in Italia, sull’efficacia, e sulla necessità di una legge sul negazionismo. Non sono favorevole, ma questo potrebbe essere considerato un fatto privato. Io invece lo ritengo parte di una deontologia professionale. Una convinzione che non è una prurigine da “politicamente corretto” contrapposta a una “sana” politica muscolare. Considero l’eventualità di una legge contro il negazionismo, prima ancora che inefficace, un palliativo. In breve inutile e alla fine segno ed effetto di una pigrizia. E mi spiego. L’obiettivo di chi si preoccupa dell’insorgenza e della diffusione di convinzioni negazioniste è quello che non si costruisca una convinzione basata sul falso. E’ un obiettivo che condivido. Io penso che non lo si raggiunge né lo si consolida con una legge, bensì con una didattica e una pedagogia che aiuta a distinguere e porre le differenze tra vero, falso e finto. E distinguerli implica sviluppare una risposta al negazionismo che almeno per ciò che compete agli storici non si limita a fare il giudice “super partes”, ma a scendere in campo e fare il loro mestiere, ovvero, per esempio, definire e costruire una didattica della riconoscibilità del falso. La costruzione del falso, come le bugie, o ancora meglio quella dell’inganno, ha delle regole; risponde a logiche; si serve di retoriche interpretative e di documenti che sceglie e mette in ordine; spesso li crea; adotta retoriche costruttive di narrazioni. Penso che noi storici, una volta ribadita la libertà della ricerca storica, non possiamo sottrarci dal misurarci con il tema del falso e della sua diffusione, delle retoriche che i suoi diffusori adottano. Con la consapevolezza, di tutti, che una volta aperta la partita sulla verità dei fatti, si avvia una discussione su ciò che diamo per certo e per vero che non è né tranquilla né pacifica, ma anzi presume rimettere in discussione molte cose intorno a ciò che diamo “per scontato”.

David Bidussa, storico sociale delle idee