In cornice – Un pezzo di carta

Pagare oltre un milione di euro per il contratto di fondazione della Apple Inc., che è un semplice pezzo di carta senza valore legale? Sembra una follia, ma questo è avvenuto lo scorso mese. E follia è tutto il florido mercato degli scritti e dei cimeli dei grandi, come lo è stato Steve Jobs, in cui si strapagano oggetti qualunque. Vero – dico io – ma meno in questo caso, perché il contratto della Apple assomiglia a uno dei certificati di vendita delle “aree di creatività” di Yves Klein, artista ebreo fondamentale per l’intero Novecento.
Mi spiego. Klein sosteneva che nell’opera d’arte conta l’idea, non la sua realizzazione. Da vero provocatore quale era, vendeva “aree di creatività” ossia minuti del suo tempo creativo, che per lui valevano quanto le opere che poteva creare in quel tempo. Le aree, accompagnate da tanto di certificato, venivano vendute ai collezionisti che così pagavano belle cifre per ritrovarsi solo con un foglio firmato da Klein; l’artista usava il denaro per comprare dell’oro che poi buttava nella Senna – altra provocazione. Si può dire che il contratto di fondazione della Apple sia qualcosa di simile: è rappresentativo di una grande area di creatività (la Apple non è questo con i suoi prodotti rivoluzionari, con il suo pensare diverso?), che di oro ne ha creato tanto – fortunatamente non buttato in un fiume. Questa area di creatività potrebbe valere perfino un un milione di euro.
Chiaramente, anche questo mio parallelismo è un provocatorio; ma resto del tutto convinto che la creatività, del tutto immateriale, è molto più importante dei prodotti in cui si concretizza. La creatività si rinnova e darà nuovi frutti, i prodotti possono solo decadere. Il compito di tutti noi al lavoro, in casa – ovunque e sempre, specie di questi tempi – è di sviluppare la nostra creatività, nel piccolo così come nel grande. Solo così possiamo non soccombere e contribuire agli altri.
Il caso di Jobs e di Klein mi permette anche di rispondere brevemente all’amica Dora Liscia Bemporad, in merito all’importanza dell’arte ebraica nei secoli pre-ottocenteschi. Ovviamente gli esecutori delle channukkiot, attarot etc. erano cristiani – mai scritto fossero ebrei – ma loro, visto che non conoscevano la materia da rappresentare, si confrontavano con i committenti/consulenti ebrei per il contenuto. L’apporto creativo di questi ultimi era decisivo nel definire l’opera, almeno altrettanto importante – Klein direbbe più importante – di quello del tecnico esecutore. E’ così che si è creato il connubio fra arte circostante e portato culturale ebraico, di cui dovrebbero andare fieri gli ebrei italiani.

Daniele Liberanome, critico d’arte