Quando l’arte uccide il luogo comune

Arte, politica, lavoro. Tre elementi che lungo la carriera di Yossi Lemel, pubblicitario e fotografo di fama internazionale, si intrecciano costantemente. L’immagine racchiude sempre un racconto e Lemel, a seconda delle occasioni, gioca con questa flessibilità comunicativa. Così una sua foto può diventare pubblicità, essere una rivendicazione politica, lanciare un messaggio sociale. Lemel provoca, ironizza, comunica in uno scambio dialettico costante con il suo interlocutore.
Nato nel 1957 a Gerusalemme, ha realizzato diverse campagne pubblicitarie e di sensibilizzazione in ambito sociale, lavorando ad esempio con Amnesty International, Greenpeace e associazioni impegnate nella lotta per i diritti civili. La sua visione politica del mondo emerge con forza da tutti i suoi lavori fra i quali ricordiamo le immagini dedicate all’interminabile conflitto israelo-palestinese, alla tragedia della Shoah e al nucleare.
Trent’anni di esperienza alle spalle hanno portato, oltre un impressionante numero di premi e riconoscimenti dalla Cina agli Stati Uniti, alla creazione di uno studio proprio attraverso cui Lemel finanzia parte dei suoi lavori.
HumanatureSimbologia, humor, impegno sociale, pubblicità. Lei è sia poster artist sia un professionista del design e del mondo pubblicitario, come si combinano questi diversi aspetti nel suo lavoro?
A volte si intrecciano, a volte corrono su binari paralleli ma sono sempre io, l’artista politico, il pubblicitario, il grafico. Cerco di portare avanti diversi progetti insieme e tradurre le mie idee in tutti gli aspetti del mio lavoro, ciascuno con stimoli e necessità chiaramente differenti. Ho lavorato con Greenpeace, con Amnesty International ma anche con aziende di High-tech, con il Ministero dell’Ambiente israeliano; ho avuto la possibilità di insegnare e collaborare con diverse università israeliane e non. Diciamo che la mia professione mi permette di variare, di esprimermi attraverso molte luci e linguaggi.
Black April 2010Uno dei primi passi della sua carriera è stato frequentare l’Accademia d’Arte Bezalel di Gerusalemme, un centro importante per cultura e storia. Quale ruolo ha giocato quest’esperienza nella sua formazione artistica e professionale?
Bezalel è stato sicuramente un momento fondamentale del mio passato. Mi ha permesso di avere degli strumenti che altrimenti sarebbero stati difficilmente accessibili, mi ha aperto una visione nuova sul mondo dell’arte oltre a darmi la possibilità di confrontarmi giorno dopo giorno con studenti e professori. E forse è questa la grande forza dell’Accademia, la grande varietà di persone che permetto una dialettica continua e formativa sulle materie di studio e non solo. Con me ad esempio c’era il mio amico David Piazza, a cui sono molto legato, e lui mi ha fatto conoscere artisti che prima non conoscevo. Nel nostro gruppo c’erano persone da tutte le parti del mondo, danesi, americani, oltre ovviamente agli israeliani. C’era un terreno fertile per la crescita delle idee. Per questo consiglio ai giovani di frequentare accademie e università, sono spazi in cui è possibile da un lato avere un’ottima istruzione e dall’altra permette di aprire la mente.
Parlando di giovani, quali sono le prospettive in Israele rispetto al campo del graphic design e dell’arte visiva?
Purtroppo non ho doti profetiche ma ho la sensazione che nonostante la crisi globale il mercato israeliano offra molte possibilità ai ragazzi che vogliono cimentarsi in questo lavoro. I mezzi tecnologici a disposizione sono profondamente cambiati da quando ho iniziato io e questo facilita ulteriormente le cose. Chi ha passione, forza, voglia di riuscire riuscirà ad affermarsi. E se guardo alle nuove generazioni qui in Israele posso dirmi fiducioso.
Fukushima mon amourCosa intende esattamente?
Come raccontano i miei lavori, l’impegno politico e sociale fa parte del mio background. E sembrerebbe che i giovani israeliani condividano gran parte delle istanze che porto avanti. Vedo la loro voglia di cambiare le cose, di manifestare il proprio dissenso e la volontà di far sentire la propria voce. Per questo sono fiducioso, ci sono molte battaglie che vale la pena combattere, dai diritti umani all’ambiente, e i giovani vogliono raccogliere questa sfida. Siamo designer, siamo artisti perciò guardare il futuro è nel nostro dna ma per avere un futuro dobbiamo salvare questo pianeta prima che sia troppo tardi.

Anatomy of a conflictIn Italia, la patria dell’arte, sembra che, almeno ai piani alti, non ci si renda conto del valore anche economico della cultura. Qual è la situazione in Israele?
I nostri problemi sono diversi dall’Italia perché siamo un paese che vive con il pericolo costante di un attacco militare. La gran parte dei fondi vanno così al Ministero della Difesa, il vitello d’oro d’Israele. Per cui anche qui la situazione è difficile ma le istituzioni, per quanto possibile, cercano di favorire l’arte e il mondo della cultura. Il problema, e qui penso di poter parlare anche per l’Italia, è che bisogna cambiare la mentalità: gli artisti sono mossi dalla passione di esprimersi e per poterlo fare sono disposti anche a lavorare gratis; perché l’arte per un pittore, uno scultore, un fotografo è una necessita dell’anima. Ora provi a chiedere a un banchiere di fare un prospetto, mettiamo, sull’andamento nei prossimi cinque anni dell’economia israeliana. Secondo lei sarà disposto a farlo gratis? Per passione?

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche gennaio 2012