Qui Roma – Dietro le quinte con Mario Piazza

Torna in scena questa sera all’Auditorium della Conciliazione di Roma Lo Schiaccianoci di Cajkovskji rivisitato in chiave contemporanea da Riccardo Reim con coreografie di Mario Piazza. Lo spettacolo sarà nella Capitale fino a sabato 7 gennaio. Nel ritratto di Rachel Silvera, le impressioni seguite all’incontro con uno degli interpreti più estrosi, creativi e tenaci del moderno panorama artistico italiano.

Mani affusolate che intrecciano delicatamente nastri di raso. Musica che si spande in lontanananza e profuma di teatri viennesi con un pesante sipario di velluto rosso. Una sbarra di legno che trasuda ore di esercizio, bocca serrata, la tentazione di cedere e cadere a terra. Poi arriva una enorme fata confetto, personaggio chiave dello Schiaccianoci, che ci fa approdare in una dimensione magica e giocosa. Mosse buffe, saltelli, faccia stizzita, un enorme copricapo a punta. E tanti saluti alle eteree ballerine di Degas. Con questa immagine si può riassumere il personaggio di Mario Piazza, coreografo di fama internazionale che ha reinventato il modo di concepire la danza. Per nulla impaurito da quell’aura di timore e rispetto che questa disciplina esercita sui profani, come uno scultore tenta di tirar fuori l’arte, modellando i corpi e calandoli in una atmosfera onirica fatta di oggetti fuori misura e giocattoli incantati. In tanti anni di lavoro non ha perso la dimensione fanciullesca che gli permette di nutrirsi di immagini e di bellezza, di poter cogliere l’amonia dei movimenti nei film di Fellini e di Totò. Gli fornisce un appetito insaziabile di conoscenza, che lo porta a continuare a studiare pur arrivato in cima al cursus honorum nel quale si ripartisce la vita del ballerino. Incontrando Mario Piazza, lo sfondo comincia a prendere un ritmo singolare, sembra quasi che i cucchiaini con i quali si rigirano i caffè facciano piccole piroette e che i camerieri avanzino con la leggiadria di Roberto Bolle. Perché tutto può diventare altro, diventare arte.
Mario ci fa accomodare intorno a un tavolino dove per un’ora e mezzo ci introduce nel suo mondo con una spontaneità e genuinità che raramente ci si aspetta dalla temuta categoria dei coreografi. La sua è una storia di passione, coraggio e indipendenza. “Sono andato via di casa giovanissimo. Il mio impulso? Perseguire l’attitudine che fremeva febbrilmente per uscire”. Mario inizia con la strada del canto ma la danza soppianta ogni altra priorità. “Mi sono presentato davanti alla commissione della scuola – racconta – e nonostante la selezione ferrea, nonostante alcuni ostacoli apparentemente insormontabili, li ho convinti del fatto che avevano bisogno di me”. Così partono i titoli di testa di un sogno americano fatto di soddisfazione, cadute, prime posizioni e tanti sacrifici nascosti, come solo un ballerino sa fare, da un sorriso accennato. Così con qualche dollaro in tasca e una valigia di sogni, Mario lascia il Canada e parte alla volta della città che non dorme mai. A New York studia presso la Alvin Ailey School e la Martha Graham School. è ospite di una anziana signora con la passione per la danza. Apprende la nobile arte di arrangiarsi: “Avevo l’alloggio e l’abbonamento alla metro, per il resto dovevo pensare a tutto io”. Nella luminosa Parigi si perfeziona invece con Peter Gross. Bisogna puntare sempre al massimo, raggiungere il livello di professionisti. Questo è ciò che il ballerino, orgoglioso ebreo romano (“sono un giudio”), auspica per la comunità ebraica nella quale vede molti talenti inespressi e che non si prendono abbastanza sul serio. “La competitività è molto alta ma non deve scoraggiare” afferma convinto con gli occhi ancora accesi sulle emozioni della notte della Cabala di cui è stato uno dei grandi protagonisti. Se a ogni balletto Mario lascia un pezzo del suo cuore, il pezzo più grande va sicuramente a “Ghetto”. Premiato dal Performing Arts dalla European Association for Jewish Culture di Londra e rappresentato a Sofia, “Ghetto” è formato da una successione di quadri che rappresentano i momenti salienti della vita ebraica. Un mescolarsi di gioia e dolore. “Il dolore però si avverte in ritardo – dice – un flash di un attimo che scompare con l’avanzare del quadro successivo”. Proprio questo è il tratto che il coreografo predilige della filosofia tipicamente ebraica. Una vis che aiuta nelle tante avversità, una incontenibile voglia di vivere che permette di ridere dopo aver pianto e di rialzarsi dopo essere caduti, come solo un fiero e dignitoso ballerino sa fare. La scelta di iniziare dalla città di Sofia non è casuale. Si tratta infatti, spiega, di un luogo “ricco di professionisti, ma non in luce quanto dovrebbe”. La platea ha accolto con commozione la storia di due innamorati che vivono in un ghetto sospeso dallo spazio e dal tempo, quasi uno stato d’animo. Il balletto purtroppo non ha ancora calcato i palchi italiani anche se in molti vorrebbero vedere uno spettacolo sperimentale e del tutto inedito come il suo. Ma Mario Piazza, parafrasando il titolo di un libro della Bignardi, non ci lascerà orfani: a gennaio l’appuntamento è all’Auditorium della Conciliazione per uno Schiaccianoci, dedicato al nipotino Devid Jair, che continua a riempire le sale di spettatori che non vogliono lasciarsi sfuggire una atmosfera rosea e incantata.
C’era chi da piccolo diceva di voler fare l’austronauta, chi si metteva la cravatta del papà e annunciava che sarebbe diventato Donald Trump e avrebbe avuto una stanza solo per i videogiochi. Poi chi indossava i tacchi della mamma e affermava che avrebbe fatto la moglie casalinga (non ce ne voglia Simone de Beauvoir) o impiastricciandosi il vestito pulito credendo di essere la futura Artemisia Gentileschi. Ma in fondo abbiamo sognato in tanti di essere danzatori, ballando alla faccia delle nostre paure e insicurezze. Allora ecco che il tanto temuto mondo diventa una battaglia con il Re Topo che termina in un meraviglioso Valzer.

Rachel Silvera, Pagine Ebraiche gennaio 2012