Un anno da volontaria con i bimbi

Tredici anni di scuola e la prospettiva, per chi vuole continuare gli studi, di farne come minimo altri tre per avere una laurea in tasca. Non tutti i ragazzi, però, scelgono di iscriversi immediatamente all’università, affascinati dalla prospettiva dell’anno sabbatico. Se poi si inciampa in George Bernard Shaw – l’unico periodo in cui la mia educazione si è interrotta è stato quando andavo a scuola – il desiderio di fare altre esperienze probabilmente non fa che aumentare.
Una pausa di riflessione per fare un’esperienza formativa è stata la scelta di Giulia Temin, studentessa milanese di architettura, con un progetto nel cassetto: studiare all’Accademia d’Arte di Gerusalemme Bezalel. “Nel 2009 ho deciso di fare l’anno di hachsharà (programma formativo annuale proposto da movimenti ebraici, religiosi e laici, per i giovani) in Israele con l’Hashomer Hatzair. Volevo conoscere la realtà israeliana da una prospettiva diversa, non la vacanza Fishman (popolare spiaggia di Tel Aviv) per intenderci”.
Un anno passato tra il Kibbutz di Holit (a sud di Israele vicino alla striscia di Gaza), in un centro educativo di Naharia e infine a lavorare ad un progetto teatrale con i giovani di Bart’a, città di confine a nord la cui zona occidentale fa parte del distretto di Haifa mentre quella orientale è sotto la giurisdizione del governatorato di Jenin. Non proprio posti da villaggio turistico. “Beh, l’idea era quella di fare qualcosa di diverso. Israele mi ha sempre affascinato e volevo guardarla attraverso diverse prospettive”. La prima fermata di una di “pacchetto” predefinito è Naharia. “Là ho lavorato in un centro educativo per ragazzi con alle spalle problemi famigliari. La città è un crogiolo di nazionalità diverse e noi svolgevamo attività con bambini che parlavano ebraico, russo, francese. Il nostro ruolo era quello di cercare di stemperare la loro aggressività, farli sentire un gruppo, perché spesso a casa erano isolati”. Tre mesi vissuti, quelli a Naharia, in una comune. “E’ stato molto divertente, si è creato affiatamento tra noi ragazzi. E’ molto diverso vivere costantemente in contatto con qualcuno, poi in tanti diventa ancor più complicato ma non abbiamo avuto grandi difficoltà. E’ stato bello condividere e confrontarsi con ragazzi provenienti da tutto il mondo; c’erano belgi, svizzeri, messicani, davvero di tutto”.
L’altro momento che Giulia ricorda con particolare piacere e emozione è il progetto di educazione per la pace tenuto durante il soggiorno a Ramat Ha Shofet. “Venivano ragazzi dei paesi arabi vicini e con loro abbiamo lavorato all’allestimento di uno spettacolo. Suonerà un po’ retorico e forse banale, ma è stata veramente un’occasione unica”. Coincidenza, sfortunata, volle che proprio qualche giorno prima della messa in scena dello spettacolo scoppasse il caso della Freedom Flottilla (31 maggio 2010), in cui gli attivisti della nave Mavi Marmara si scontrarono con i soldati israeliani e nove persone persero la vita. Fra questi, si sparse la notizia, che vi fosse un leader palestinese e nella zona vicino a Ramat Hashofet iniziarono manifestazioni e proteste. “Non potevamo uscire in quella situazione di tensione perciò avevamo deciso di posticipare lo spettacolo. Tutti i ragazzi palestinesi iniziarono a chiamarci e chiederci ‘allora quando lo facciamo, quando proviamo ancora’. Questo mentre molto probabilmente i loro genitori o fratelli erano per le strade a protestare. E’ un segnale, nel suo piccolo, significativo. Si era creata un’alchimia nonostante tutta la storia del conflitto”.
Un anno intenso quindi quello di Giulia, che poi si sofferma sulla questione università. “Ho incontrato diversi studenti universitari mentre ero là. E la sensazione che si ha quando si è in contatto con loro è di una società vivace, dinamica in cui i giovani hanno effettivamente delle opportunità di affermarsi”. Lei, alla fine, ha scelto architettura ambientale a Milano. “Però sono rimasta affascinata dal Technion. Sono andata a visitare su appuntamento il politecnico di Haifa per avere un’idea di come sia la dimensione universitaria in Israele. E’ differente da quella italiana: molti più laboratori, c’è un interesse specifico sugli aspetti ecologici; le persone sono motivate. Sembra tutto più acceso, più vivo”. Il fascino di quel mondo accademico, nonostante il ritorno all’ombra della Madonnina, è rimasto. “Finita la triennale vorrei riuscire a frequentare l’Accademia Bezalel. Aprire a una concezione più artistica il mio studio sul’architettura. E poi a Gerusalemme ci sono in parte cresciuta, è una seconda casa quindi faciliterebbe le cose”.
Riannodando i fili del suo anno israeliano, Giulia poi suggerisce a chi può “di fare un’esperienza all’estero, non per forza come la mia. Ora io ho la sensazione di non andare avanti alla cieca ma di avere un quadro più chiaro di cosa posso e voglio fare. E il contatto con un’altra realtà mi ha aiutato a maturare questa consapevolezza”.

Pagine Ebraiche gennaio 2012