Silenzio
Questa mattina, ascoltando la radio molto presto, sentivo un cronista parlare dei contrasti che scuotono Israele, tra cittadini laici e cittadini ortodossi. No, mi correggo: fra ebrei laici e non, e ebrei ultraortodossi.
La precisazione mi sembra necessaria, in quanto già alcuni giorni orsono ne avevo letto sulla stampa ebraica, con firme che non credo di poter definire strettamente laiche. Premetto che, rispetto all’ebraismo, il termine “laico” non mi sembra appropriato e chiedo scusa se al momento non ne trovo altro più idoneo. Fatto sta che, al momento, sento la necessità di affrontare anche io la questione, sia pure dal mio modestissimo punto di vista di ebrea romana, che finora ha preferito tirarsi fuori dalla mischia.
Ho taciuto, infatti, a proposito della “questione ciambellette”, pensando che maestri più esperti di me e di tutte le altre donne del volgo, avessero miglior diritto di parlare. E ho fatto Pesach senza ciambellette. Ho taciuto sulla separazione tra uomini e donne in sinagoga, anche in occasione di conferenze e altri incontri non rituali. Mi sono limitata a non partecipare. Adesso però, forte dell’insegnamento rabbinico sulla importanza dell’interrogazione continua, fra tutti e a tutti i livelli, vorrei chiedere ai nostri rabbini come mai non affrontano l’argomento dei diktat ultraortodossi, che oltre a scuotere Israele sta turbando l’intera diaspora al punto di trovare spazio nei giornali-radio italiani.
Conosco alcuni dei nostri rabbini e li considero maestri anche per il rispetto, l’affetto e l’ascolto che dedicano alle loro spose, per cui mi chiedo: come mai non prendono la parola?
Aspettano forse, nella forse ancora troppo laica Roma, di andare a spasso con le loro spose, non tenendosele accanto, ma sorridendo loro da un marciapiede all’altro della strada?
Giacoma Limentani, scrittrice