Israele e le donne
Da bambina ero molto fiera di Israele, tra gli infiniti motivi, anche perché era l’unico Paese (per quanto ne sapevo) ad avere le donne soldato e perché il Primo Ministro era una donna. Mi sembrava per questo che fosse un passo avanti rispetto al resto del mondo, un modello positivo che tutti prima o poi avrebbero imitato. Le mie idee non nascevano dal nulla: quella fierezza che allora era mia e credo di molti altri bambini era alimentata consapevolmente dai racconti di amici e parenti, dalle maestre, dai filmini e dai poster del KKL; tutti ci presentavano il livello di uguaglianza raggiunto dalle donne in Israele come una straordinaria conquista, come uno dei fiori all’occhiello dello stato ebraico. Era così perché proprio perché ebraico? Forse questo non veniva detto esplicitamente, ma inevitabilmente lo pensavamo.
Negli ultimi tempi si leggono e sentono notizie che stridono clamorosamente con l’immagine di allora: donne costrette ad occupare la zona posteriore degli autobus, marciapiedi separati, limitazioni alle voci o alle immagini femminili in pubblico. Possibile che quella fierezza che ci veniva trasmessa allora fosse un gigantesco equivoco? È stato un caso se proprio lo Stato ebraico, e non un altro, ha avuto la prima donna premier scelta per i suoi meriti e non per la famiglia di appartenenza? È stato un caso se proprio lo Stato ebraico fin dalla sua fondazione ha arruolato le donne nell’esercito, includendole così in un’istituzione fondamentale nella formazione dell’identità israeliana? È stato un caso, insomma, se proprio lo Stato ebraico fin dalla sua nascita ha voluto assegnare alle donne il ruolo di protagoniste e non di comparse?
C’è chi dice che quelle cose di cui andavamo fieri erano solo un cedimento al laicismo allora dominante e a valori non ebraici. Personalmente non posso e non voglio crederlo, e spero di non essere l’unica.
Anna Segre, insegnante