Qui Torino – Spunti di crescita e lavoro
Sobrietà. Modestia. Queste caratteristiche dovrebbe assumere l’identità ebraica italiana secondo gli auspici dello storico Alberto Cavaglion e di David Meghnagi, professore di psicologia all’Università di Roma Tre. E il rabbino? Chi è il rabbino? A provare a rispondere è stato il rabbino capo di Torino Eliyahu Birnbaum. Con una formula “matematica” di sei elementi, più uno.
Questi e molti altri gli spunti di riflessione del dialogo che si è dipanato tra i relatori della serata torinese dedicata a “Identità ebraiche, edot e rabbini: la storia di un melting pot all’italiana”, introdotta dal direttore del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane rav Roberto Della Rocca. Nella biblioteca Emanuele Artom, tanta gente della Comunità ha preso posto accanto all’ampia rappresentanza di leader ebraici italiani, insegnanti e professionisti delle realtà comunitarie, giovani, giunti nel capoluogo piemontese per il quarto appuntamento del corso organizzato dal Centro di formazione UCEI.
L’identità ebraica si deve caratterizzare per la scelta di valori, secondo rav Roberto della Rocca. “Ricordiamoci di Mosè – ha invitato il direttore del Dec, dopo il benvenuto del presidente della Comunità di Torino Beppe Segre – che per tutta la vita mantenne il nome che gli aveva posto la figlia del faraone, per riconoscenza nei suoi confronti. Un valore che gli egiziani, che ridussero in schiavitù il popolo ebraico perché scordarono in fretta quanto Giuseppe aveva fatto per loro, non conoscevano. Per uscire dall’Egitto, dobbiamo uscire dall’Egitto nella nostra testa, decidendo a quali principi vogliamo improntare la nostra esistenza”.
Attorno alla storia degli ebrei in Italia e al rapporto tra Unità ed emancipazione si è sviluppata la riflessione del professor Cavaglion. “Possiamo notare che quanto più l’ambiente esterno ha prodotto una rappresentazione diffamatoria del mondo ebraico, tanto più gli ebrei hanno sviluppato un’attitudine all’apologia di se stessi. Ma questo produce il rischio di distorcere l’autopercezione della propria realtà”. David Meghnagi ha poi messo in evidenza il nesso tra il processo di emancipazione delle comunità nei vari paesi e l’identità degli ebrei di quei luoghi. Invitando accoratamente le comunità italiane a non chiudere le porte, ad improntare all’apertura il proprio modo di essere.
Con grande interesse è stata accolta la “formula del rabbino” proposta da rav Birnbaum. Il rabbino come ponte fra ebraismo ed ebrei, che per unire le due sponde deve tenere bene a mente chi sono le persone che ha davanti a sé. Filosofo, con il compito di tradurre per loro il significato dell’ebraismo nel linguaggio più appropriato. Sociologo che comprende le loro esigenze. Un demografo che tiene d’occhio le tendenze della propria comunità da questa particolare prospettiva. Codificatore di Halakhah, che cerca di trovare la migliore soluzione del ruolo di guida ortodossa di comunità nominalmente ortodosse, ma i cui esponenti vivono in massima parte lontani dall’osservanza religiosa. Il rabbino che deve essere poi profeta che guarda al futuro della propria gente, avendo davanti agli occhi la sua missione. E infine, ha tenuto a sottolineare il rabbino capo di Torino, “anche se può sembrare ovvio, il rabbino non è un prete. Nel senso che non è un sacerdote. È un leader spirituale. Ciò che è un compito ancora più difficile”.
Con una fotografia delle organizzazioni ebraiche in Europa e nel mondo e dei loro rapporti con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si sono riaperti in mattinata i lavori del corso di formazione. A discuterne con i partecipanti il vicepresidente UCEI Claudia De Benedetti. Partecipanti che poi si sono divisi nuovamente nei percorsi ad hoc, per leader, professionisti, insegnanti, giovani.
“Panim significa faccia. Una parola che in ebraico vuole sempre la forma plurale. Intendendo forse che in ogni cosa, in ogni persona, coesistono necessariamente diverse facce, diverse sfaccettature”, aveva spiegato rav Della Rocca aprendo la sua riflessione sull’identità ebraica.
E sicuramente tante sono state le facce dell’ebraismo italiano che si sono incontrate e confrontate nella due giorni torinese.
Rossella Tercatin