Buona e cattiva laicità
Senz’altro degna di nota la riflessione di Davide Assael, pubblicata sul notiziario quotidiano dello scorso 11 gennaio, a proposito della recente approvazione della nuova Costituzione ungherese, che, col suo clamoroso ritorno a una concezione apertamente teocratica dello Stato (con la legge di Dio, eterna, immutabile e intangibile, praticamente sovraordinata a ogni effimera legislazione secolare), sembra far precipitare l’Europa, con un tratto di penna, indietro di secoli. Un documento che pare cancellare secoli di faticose conquiste civili e democratiche, e ha giustamente sollevato, un po’ dovunque, commenti allarmati, di vario genere (in misura, comunque, secondo me, inferiore a quanto sarebbe stato opportuno e necessario).
“Vado alla ricerca – osserva Assael – di opinioni della Chiesa e di politici cattolici sulla riduzione del Cristianesimo a religione nazionale. E cosa trovo? Grandi elogi per le tendenze antiaboriste del governo Orban (così anche il nostro Buttiglione), lo stesso per la difesa del matrimonio uomo-donna. Entusiasmo per il contrasto alla deriva laicista dell’attuale Europa e per la difesa della propria identità nazionale che resiste all’imperialismo europeo…”.
Tale amara constatazione mette il dito nella piaga, dal momento che richiama, ancora una volta, la triste verità della completa, assoluta, incrollabile refrattarietà, da parte delle autorità clericali e di buona parte del pensiero cattolico (almeno, di quello che ad esse mostra di fare riferimento, come orientamento nell’agire civile), di fronte a qualsiasi discorso di laicità. Un concetto che, comunque inteso – dalla più estensiva alla più restrittiva delle interpretazioni -, appare in ogni caso totalmente estraneo alla sensibilità, agli interessi, alle prospettive culturali, politiche e spirituali della Chiesa italiana.
La laicità viene richiamata, infatti, sempre e soltanto in senso negativo (degradata a becero ‘laicismo’), tutte le numerosissime volte in cui, per i più svariati motivi – e quasi sempre del tutto a sproposito –, si ritiene di dover denunciare presunte limitazioni che sarebbero frapposte al libero espletamento del magistero e delle funzioni della Chiesa. Questa è laicità ‘cattiva’, ossia il ‘laicismo’. Ma esiste una laicità ‘buona’, da custodire e difendere? No. Mai, assolutamente mai si dà il caso che, da parte ecclesiastica, si prendano le distanze dai reiterati tentativi di imporre a tutti, anche con la forza, una visione confessionale o clericale della vita. Confessionale o clericale, s’intende, in senso cattolico, perché è chiaro che analoghi tentativi, compiuti, per esempio, da parte islamica, vengono sempre puntualmente deplorati e stigmatizzati. Quante volte abbiamo sentito denunciare, con giusta indignazione, il fatto che in Arabia Saudita non ci sono chiese? Che i cattolici in Cina sono discriminati? Che in Africa sono perseguitati, e a volte anche uccisi? Ma se in un Paese, che sia l’Ungheria o un altro, accade il contrario, il potere della Chiesa diventa straripante, e i “diversamente credenti” vengono “messi all’angolo”, va ovviamente bene, benissimo. Sorge spontanea, pertanto, una domanda: esiste, da parte della Chiesa, un limite, sia pur estremo, da rispettare, che impedisca l’imposizione forzata della dottrina cattolica? o il braccio secolare, di costantiniana memoria, deve comunque continuare a funzionare, ogni qual volta e dovunque sia possibile farlo? È possibile immaginare, a livello meramente teorico, un confine che la Chiesa non voglia oltrepassare, per rispettare la libertà e la dignità di coloro che in essa non si riconoscono? Se, per esempio, un domani qualcuno proponesse, in Italia o altrove, di vietare tutti i culti acattolici, di imporre l’esposizione dei crocifissi anche nelle case private, di sanzionare penalmente, oltre all’aborto, anche l’adulterio e l’omosessualità, che succederebbe? Come reagirebbe la Chiesa? Protesterebbe o, come per la costituzione ungherese, applaudirebbe?
Francesco Lucrezi, storico