Haddarat Nashim

Una delle espressioni più diffuse nei media israeliani riguardo alle recenti polemiche sorte sulla questione femminile è Haddaràt nashìm. Come è noto, l’ebraico si scrive comunemente senza vocali e altri segni fonetici. La prima volta che ho visto questa espressione è stata l’ultimo venerdì dell’anno civile, appena arrivato in Israele. L’ho letta sul giornale Haaretz, che in prima pagina dedicava ampio spazio alla faccenda (come tutti i quotidiani, ma gli altri in modo più strillato). Erroneamente, però, lì per lì ho letto hadràt nashìm, che vorrebbe dire “rispetto per le donne”, affine a hadràt kòdesh, rispetto per le cose sacre, che poco dopo avrei cantato nel Mizmor le-David durante la Kabbalat Shabbat. Ma dal contesto dell’articolo del giornale era chiaro che l’espressione non indicava affatto l’onore e il rispetto per le donne, bensì tutto l’opposto. Qualcosa quindi non tornava. Poi mi hanno spiegato che leggevo male: non si trattava di hadrat ma di haddarat. Il primo termine deriva dalla radice hadàr, che significa appunto onorare, abbellire. Il secondo deriva invece da nadàr, fare un voto, sottoporre a vincolo. Haddarat nashim significherebbe quindi esclusione e allontanamento delle donne. Hadrat e haddarat si scrivono con le stesse consonanti, la differenza sta solo nella punteggiatura e nella pronuncia. La lettera nun di nadar, cadendo durante la declinazione della parola, causa il raddoppiamento della dalet, indicato foneticamente dalla presenza del daghesh, il punto dentro la lettera. Per passare da haddarà a hadarà, dall’esclusione al rispetto, è facilissimo: basta solo l’aggiunta (netta) di un puntino. Si toglie un punto da haddarà (il daghesh nella dalet) e si aggiungono due punti sotto la lettera he di hadarà (nella vocale shevà-patach al posto del patach). Sarebbe auspicabile che fosse altrettanto facile, nella realtà, passare dall’allontanamento all’onore delle donne. È pur vero che le offese alle donne cui abbiamo assistito sono un fenomeno minoritario anche all’interno del mondo charedì: ma la protesta, soprattutto dal mondo religioso, contro la degenerazione del concetto di tzeniùt, modestia (femminile ma non solo), è sicuramente doverosa.
In una rubrica di parole e del loro corretto uso, non è fuori luogo parlare anche del loro mal uso. Nelle contro-manifestazioni, si sono visti cartelli e sentite esclamazioni in cui i charedim (non “gli” haredim) si rivolgevano con la parola “nazim” ai poliziotti, i quali stavano solo cercando di svolgere il loro dovere di mantenere l’ordine pubblico. Giustamente noi ci lamentiamo ogni qualvolta si equipara il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi a quanto fecero i nazisti contro gli ebrei. Ugualmente dovremmo protestare quando alcuni ebrei, spesso discendenti o parenti di coloro che furono perseguitati e sterminati nella Shoah (che bene dovrebbero conoscere cosa fecero i nazisti), si permettono di dare del nazista a un altro ebreo.

rav Gianfranco Di Segni Collegio Rabbinico Italiano
(Pagine Ebraiche, febbraio 2012)