In cornice – Le dieci piaghe

Perché sono rarissime le opere d’arte sulle dieci piaghe? Eppure, a leggere le parashot di queste due settimane, nessun soggetto sembrerebbe più adatto: acqua che si trasforma in sangue – ma solo per alcuni, pulviscolo che diventa ulcera, la morte dei primogeniti. Una combinazione di teatralità, sensazioni forti, spiritualità. Perfetto. Ebbene, fatevi un giro su Google o su qualche libro specializzato: non troverete quasi nulla. Pochissimi quadri (due splendidi Turner, un Alma Tadema non troppo riuscito, un Pearce, un interessante Paoletti esposto al Brera) e qualche arazzo. Un’inezia in mille anni di storia europea. E quasi nulla anche nella nostra arte, nessun Chagall, nessun Soutine, pochissime opere israeliane; perfino nelle haggadot illustrate, le piaghe non ricevono di solito un’attenzione particolare. Eccovi allora la mia prima idea sul perché di questa strana assenza; raccoglierei però volentieri anche il vostro punto di vista.
All’arte non ebraica, le piaghe non interessano perché contraddicono una delle principali accuse rivolte alla nostra religione, cioè che il Signore sia lontano da noi e incurante, visione da cui i cristiani ricavano il ruolo di Gesù. Quanto alla nostra arte, la ragione potrebbe essere che la nostra religione, la nostra cultura, è sostanzialmente non vendicativa. Non ci ha mai fatto piacere che gli Egiziani abbiano sofferto. I commentatori mille volte si interrogano sul perché il Signore abbia indurito il cuore del Faraone, causando così sventure al suo popolo. Nel Seder, si versa nel piatto del vino al pronunciare di ogni piaga, in modo che ciascuna diminuisca la nostra abbondanza simboleggiata dal vino (ringrazio rav Della Rocca per questa precisazione), e prima del pasto mangiamo l’uovo sodo che simboleggia anche il lutto. Il male dei nemici non fa felici né noi né i nostri artisti, e quindi è un soggetto che non ci interessa. Ci sono certo le eccezioni – che balzano subito alla mente – ma non cambiano la sostanza.

Daniele Liberanome, critico d’arte