Il naufragio

Gli uomini non sono tutti uguali. O, se preferite, alcuni uomini sono più uguali di altri. Prendiamo il naufragio della Concordia, che giustamente angoscia tutti gli italiani: al netto delle responsabilità gravi, delle colpe imperdonabili, delle umane miserie e dei personaggi eroici, il bilancio si attesta per ora a quindici (15) morti. Una vera tragedia, destinata probabilmente a crescere. Proviamo però a compiere un esercizio macabro, della cui rozzezza mi scuso anticipatamente. Ogni quanto muoiono quindici persone nei nostri mari? Fortunatamente disponiamo di dati abbastanza precisi, sebbene siano arrotondati per difetto. Ogni due giorni. Per tutto il 2011, infatti, sono annegate in media sette persone al giorno: imbarcatesi sulle coste africane, speravano di raggiungere le coste italiane con mezzi di fortuna. Già Luigi Manconi ha spiegato quali siano gli elementi che rendono le due tragedie difficilmente comparabili: invisibili gli uni e mediatici gli altri; poveri gli uni e ricchi gli altri; lontani da noi gli uni e simili a noi gli altri; precari gli uni e ricchi (ma fino a un certo punto) gli altri; sepolti tra le lamiere di una baracca gli uni e tra i cristalli di un grattacielo gli altri. E, tuttavia, se queste ragioni ci inducono ad abbandonare preventivamente qualunque accenno di moralismo, rimane il dato di fondo: nella nostra percezione gli uomini non sono tutti uguali. C’è però una buona notizia. Il ministro della Giustizia Paola Severino ha ripetuto anche ieri che le carceri italiane sono un luogo di tortura e non di riabilitazione. Questa sua insistenza mi pare lodevole e non scontata. I detenuti – persone che hanno sbagliato e che scontano giustamente la propria pena – sono i meno uguali tra noi. Lo Stato toglie loro la libertà per aver violato le norme del patto sociale. È per questa ragione che il rispetto dei loro diritti è fondamentale: la forza dello Stato è legittima solo se garantisce la dignità di chi non è più libero.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas