Un percorso per denunciare la sofferenza

La fase che precedette lo sterminio nei lager: la separazione totale dal resto della popolazione, la negazione dei diritti elementari, il disagio di un’esistenza spesa in spazi ristretti tra enormi angosce e sofferenze. Si inaugura questo pomeriggio al complesso del Vittoriano una straordinaria mostra inedita dedicata ai ghetti nazisti. Ne sono curatori il direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah Marcello Pezzetti, la storica Sara Berger e il giornalista Bruno Vespa (la direzione e il coordinamento generale sono di Alessandro Nicosia). La mostra, visitabile fino al 4 marzo e ad ingresso gratuito, è promossa e voluta da Roma Capitale sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica con il patrocinio del Comitato di coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah e vede la collaborazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Fondazione Museo della Shoah di Roma e dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. L’organizzazione generale e la realizzazione sono di Comunicare Organizzando. Un primo assaggio di questo lavoro di raccolta documentale esteso e denso di significato si è avuto in tarda mattinata con la presentazione in anteprima riservata alla stampa. Ad accogliere i numerosi giornalisti accorsi, i curatori Pezzetti e Berger in compagnia dello staff del nascituro Museo della Shoah (presente tra gli altri il direttore della Fondazione Leone Paserman). Per tutti i presenti l’occasione di compiere un approfondito tour all’interno delle quattro sezioni che scandiscono la mostra e descrivono il tragico percorso, dalla loro istituzione fino alla liquidazione, dei ghetti nazisti in Polonia. Un capitolo poco conosciuto che, spiega Pezzetti, merita di essere approfondito. “Non sono in molti a sapere che circa il 70 per cento delle vittime della Shoah passò dalla terribile esperienza di un ghetto. È una drammatica pagina della Shoah – afferma rivolto al nutrito gruppo di cronisti che lo circonda – dal punto di vista concettuale il simbolo di tutte le forme di razzismo e segregazione, sulla quale è fondamentale far luce”. Il materiale allestito, un vasto campionario di manufatti, fotografie, documenti e filmati, proviene da istituzioni pubbliche e private, musei e archivi internazionali tra i più importanti al mondo. È tutto originale, sottolinea Pezzetti, e conferisce quindi grande autorevolezza e prestigio alla mostra. Scene di violenza e barbarie si susseguono una dopo l’altra. Immagini di sevizie quotidiane, vessazioni e pogrom, la potenza della propaganda nazista a partire dalla vergogna di Terezin. Ma c’è anche un altro, insolito e documentatissimo, punto di osservazione. La mostra dà infatti l’occasione di riflettere su come gli ebrei, pur trovandosi in una situazione estrema, cercarono di condurre una vita normale, organizzando mense collettive per i bisognosi, ospedali e scuole, festeggiando matrimoni e mettendo al mondo bambini. Ci fu anche chi provò a ribellarsi al giogo nazista smentendo così il clichè dell’ebreo eterna vittima della storia. In chiusura l’omaggio è infatti per tutti coloro che, imbracciando il fucile o dandosi al contrabbando di cibo, persero la propria vita combattendo il nemico.

a.s.