Qui Torino – Insegnare la Shoah
Le manifestazioni torinesi per il Giorno della Memoria continuano: nelle scorse ore, presso il Centro Sociale della Comunità ebraica, si è svolto il convegno “Insegnare l’estremo. Didattica della Shoah”, organizzato da Sonia Brunetti, preside della Scuola Ebraica e David Sorani, vicepresidente della Comunità.
Come avvicinare i giovani alla Memoria? Qual è il giusto approccio che devono adottare gli insegnanti? Si è provato a rispondere a queste domande mettendo a confronto diverse esperienze didattiche, a partire dall’iniziativa promossa dalla Scuola Mordani di Ravenna di istituire un concorso in memoria di Roberto Bachi, un bambino ebreo, alunno della scuola nell’anno 1937, poi deportato ad Auschwitz.
Questo incontro è stato pensato e voluto da Enrica e Roberto Fubini, in memoria della madre Sandra Bachi, cugina di primo grado di Roberto Bachi.
A raccontare la nascita di questa iniziativa è la professoressa Livia Pezzi Gaudenzi (moglie del promotore del concorso Giorgio Gaudenzi, scomparso nel dicembre del 2009): tutto ha inizio nel 2002 quando Giorgio, allora direttore didattico della Scuola Mordani, viene contattato da un ex compagno di scuola di Roberto Bachi, Danilo Naglia, che molti anni dopo vede il nome del compagno tra quelli incisi sulla lapide in Memoria dei deportati della Shoah, che si trova in una piazza della città di Ravenna. Naglia esprime la necessità di far conoscere alle nuove generazioni quanto accaduto: iniziano le ricerche degli altri compagni e dei parenti di Roberto. È così che si crea il collegamento tra Ravenna e Torino: viene contatta la cugina Sandra Bachi Fubini che, attraverso foto, documenti e ricordi di famiglia, permette la ricostruzione della storia di Roberto e del breve, ma significativo periodo che passa a Ravenna. Così Roberto comincia in un certo senso a “rivivere”.
Il primo evento si svolge il 27 gennaio del 2003: nell’atrio della Scuola Mordani viene scoperta una grande lapide, che riproduce la pagella di quarta elementare di Roberto, per “ricordare, capire e riflettere”.
Sempre nel 2003 su iniziativa di Giorgio, viene creato il Concorso Bachi, un progetto didattico teso a sviluppare il tema della Shoah, coinvolgendo vari ordini di scuole della città di Ravenna e non solo. Per un anno scolastico i docenti di queste scuole hanno affrontato i temi delle persecuzioni razziali e dello sterminio del popolo ebraico.
Il concorso si è ripetuto per sette anni consecutivi: questo comporta un coinvolgimento di centinaia di classi e migliaia di bambini, che, spiegano Giuseppe Laghi, coordinatore dei laboratori della Scuola Mordani e Catia Gori, docente di musica del medesimo istituto, è stato reso possibile attraverso la musica, il canto e le arti figurative. L’ultimo progetto ha permesso la realizzazione di una rappresentazione teatrale, riprendendo il celebre spettacolo di Brundibar, recitato dai bambini internati nel campo di concentramento di Theresienstadt.
Segue l’intervento di Thomas Geve, sopravvissuto ad Auschwitz, autore del libro “Qui non ci sono bambini” e dei disegni esposti nella mostra al Museo Diffuso della Resistenza di Torino. Egli descrive la sua esperienza come testimone in più di cinquecento scuole d’Europa. In particolare Geve sottolinea l’importanza degli incontri diretti con i giovani: “Scrivete degli studenti, non di me, sono loro che rappresentano il futuro della Memoria”.
Dopo di che interviene Claudia Bourdin, fondatrice dell’associazione culturale Recto-Verso, raccontando la sua esperienza nelle scuole superiori. La dottoressa Bourdin propone un approccio assolutamente originale allo studio della storia attraverso l’arte. Bisogna, racconta, sensibilizzare gli alunni attraverso processi deduttivi con immagini, fumetti, fotografie e qualunque altra forma artistica.
David Sorani descrive invece la sua esperienza di docente di storia e filosofia al Liceo Cavour di Torino: propende per un approccio diretto, fatto di immagini, di incontri con esperti per tentare almeno in parte di ricreare il contesto: solo una conoscenza adeguata e partecipe può portare i ragazzi alla formazione di un pensiero critico.
Conclude Sonia Brunetti, che dal 1994 si occupa della didattica della Shoah presso la Scuola Ebraica di Torino. La modalità di trasmissione adottata è quella ebraica: si fa un limud quando muore qualcuno, cioè una giornata di studio. Perciò ogni anno si sceglie un fulcro attorno al quale si lavora. Il tema di quest’anno è stato: “Le donne della Shoah”. La professoressa Brunetti sottolinea l’importanza di una narrazione coerente, che vada in crescendo: seguendo i parametri suggeriti da Yad Vashem, si dovrebbe iniziare a raccontare la storia di un bambino che si è salvato, poi la storia di una famiglia, a seguire la storia di una comunità ed infine la Storia in senso completo, così come ci insegna l’esperienza di Ravenna.
Alice Fubini