“Così i media demonizzano il nostro modo di vivere”
Cercare un luogo dove poter seguire lo stile di vita che si è scelto rispecchiandosi nell’ambiente circostante. È questo quello che hanno fatto 25 anni or sono rav Michele Ajò e sua moglie, romano lui, israeliana lei, entrambi cresciuti in famiglie ebraiche non particolarmente osservanti. Quel luogo lo hanno trovato a Bnei Berak, quartiere (o città a sé) che si stacca e si confonde con Tel Aviv e che con i suoi 200 mila abitanti rappresenta uno dei cuori pulsanti della vita haredi in Israele. La giornata di Michele Ajò si divide tra lo studio della Torah e il lavoro nella divisione italiana dell’organizzazione Arachim, che si occupa di aiutare gli ebrei di tutto il mondo a mantenere e rinnovare i valori autentici dell’ebraismo, occupazione che lo porta a tornare a Roma diverse volte all’anno. Raggiunto al telefono da Pagine Ebraiche per offrire al lettore un punto di vista interno a proposito del clamore mediatico che si è levato intorno agli episodi di cronaca riguardanti il mondo degli ebrei ultraortodossi, risponde pazientemente che quello di cui si parla è lontano anni luce dalla sua esperienza di vita a Bnei Berak. “In 25 anni non è mai successo niente che mi disturbasse. Non dico che fenomeni di intolleranza o di violenza non possano essere accaduti. Come si usa dire, non esiste una reggia senza immondizia. Ma sono qualcosa di assolutamente marginale rispetto a quello che è veramente il mondo haredi – sottolinea – Io ho la sensazione che esista una sorta di antisemitismo nei confronti dei haredi: dal comportamento di un singolo, si demonizza l’intero gruppo. Come quando, nel triste passato europeo, bastava che un ebreo facesse qualcosa di sbagliato, perché venisse colpito l’intero popolo. Senza contare che nessuno si preoccupa di spiegare quanto siano profonde le differenze fra i diversi gruppi anche all’interno di quello che viene etichettato come un unico mondo ultraortodosso”. La Bnei Berak raccontata da Michele Ajò è un luogo dinamico, che è cambiato tanto negli ultimi anni, a dispetto delle credenze di chi vede gli ebrei ultraortodossi sempre uguali a se stessi. “Con la continua teshuvah, il risveglio dell’ebraismo, ci sono sempre nuove persone che vengono qui perché hanno un particolare interesse per la religione. Ma anche per fare acquisti di vestiario o di oggetti di judaica. La via principale, rehov Rabbì Akiva è sempre affollatissima” spiega. Ma soprattutto ci tiene a sottolineare che a Bnei Berak la gente si occupa di Torah, di studio e di lavoro. Alle storie sui giornali non fa caso, sono troppo lontane dall’apparato culturale di chi vive laggiù. “Quello che i media raccontano sui haredim sono pure e semplici strumentalizzazioni – conclude Michele Ajò – Provino i giornalisti a venire qui seriamente. Di una cosa si accorgerebbero subito: a comandare a Bnei Berak sono le donne!”.
Pagine Ebraiche, febbraio 2012