Homo sapiens

Sono appena stato al Palazzo delle Esposizioni di Roma a visitare la bella mostra Homo sapiens: La grande storia della diversità umana, curata da Luca Cavalli Sforza, il più illustre genetista delle popolazioni a livello mondiale, e da Telmo Pievani, filosofo della scienza. A pochi giorni dal Giorno della Memoria, alcune frasi che ho letto sui pannelli esplicativi (riportate anche nel catalogo della mostra) mi sono sembrate particolarmente appropriate.
“All’interno di una specie possono esistere varietà geografiche o razze o sottospecie, cioè popolazioni geneticamente distinte e riconoscibili… i cui membri tuttavia restano reciprocamente fecondi… La specie Homo sapiens è evolutivamente giovane, molto mobile e promiscua. La variazione genetica fra tutti gli esseri umani, di qualunque gruppo, è continua e non esistono razze biologicamente distinguibili… La nostra storia dice chiaramente che non c’è stato il tempo sufficiente per separarci in presunte razze umane”.
“Gli esseri umani provenienti da differenti parti del globo presentano caratteristiche esteriori diverse, che colpiscono da sempre la nostra attenzione perché sono le più appariscenti. Questa diversità ‘a fior di pelle’ è però il risultato di adattamenti recenti ai climi e alle contingenze locali degli ambienti terrestri… Sotto la pelle, il grado di cuginanza di tutti gli esseri umani è altissimo. I dati genetici mostrano senza ombra di dubbio che all’interno della differenza media fra due esseri umani qualsiasi (già di per sé bassissima in termini assoluti) la percentuale di gran lunga maggiore (85% circa) si ha fra due individui qualsiasi presi a caso all’interno della stessa popolazione, mentre soltanto il 15 per cento è dovuto all’appartenenza a due popoli diversi. Non è possibile quindi separare nettamente i gruppi umani attraverso confini genetici definiti: ci sono troppe sovrapposizioni e continuità. Eppure noi amiamo distinguere il ‘noi’ dagli ‘altri’: le razze umane dunque esistono, ma stanno tutte dentro la nostra testa, non nel mondo là fuori. Mettiamo che dopo un’ipotetica catastrofe rimanga al mondo soltanto un piccolo gruppo di poche centinaia di esseri umani, come in un villaggio dell’Africa: ebbene, questi sopravvissuti porterebbero comunque con sé la gran parte di tutta la variabilità umana. Ogni essere umano rappresenta in modo sorprendente una frazione importante di tutta la diversità umana”.
Che sia questo il senso della famosa frase talmudica “Chi salva una vita salva il mondo intero”?
Il genetista Guido Barbujani ha scritto, nel 2006: “Le razze ce le siamo inventate, le abbiamo prese sul serio per secoli, ma adesso ne sappiamo abbastanza per lasciarle perdere”. I cosiddetti “scienziati” italiani che nel ’38 firmarono il Manifesto della Razza erano quindi piuttosto arretrati nelle loro conoscenze e poco sapienti.
All’uscita della mostra mi hanno dato una scheda da riempire con il mio feedback. Dopo aver segnalato alcune sviste, alla domanda sulla “nazionalità” subito dopo quella su “Nome e cognome” ho risposto con “umana”, sulla scia di Albert Einstein che così rispose alla domanda sulla sua presunta “razza”.

Gianfranco Di Segni, Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia, CNR