Qui Mantova – Fabio Norsa (1946-2012)

Su quel binario unico di un’Italia incapace di correre, i treni che portano a Mantova non si lasciano prendere dalla fretta. Quando la città si è fatta finalmente vicina, al di là dell’ultimo bastione delle mura ducali le acque scure del Mincio sembravano avvolgere tutto di un manto inviolabile. L’inverno era appena cominciato, quando, dopo qualche colloquio preliminare, ci siamo ritrovati in città. Era buio ormai e con quella sua strana cavalleria che allora non riuscivo a capire, stava lì, nel suo loden lungo, ad attendermi sulla piazza della stazione. Mi sono a lungo domandato perché fare tanta strada, cosa ci si potesse attendere da una città fieramente marginale, da una Comunità piccola e sonnacchiosa. Forse fu la mia passione per le cause difficili, forse il suo orgoglio di essere un ebreo mantovano, un orgoglio che avrei più tardi ritrovato in tanti mantovani sparsi per il mondo. Forse emergevano invece le possibilità di una Comunità piccola nei numeri, ma straordinaria nelle potenzialità. Quella sera ho pensato che la sua voglia di fare doveva trovare una risposta. A Roma la Rassegna stampa dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, quello strumento di vigilanza, di conoscenza e di documentazione che oggi appare insostituibile a molti ebrei italiani, e soprattutto a molti studiosi e giornalisti, muoveva allora i suoi primi passi. Gli enti locali mantovani offrivano disponibilità e attenzione, guardando alla Comunità presieduta da Fabio, alla sinagoga che sempre più spesso riapriva le proprie porte, alla crescita della Fondazione benefica Franchetti, che sotto le cure di Fabio stava moltiplicando le possibilità di aiutare i giovani concittadini negli studi, alle attività della associazione Mantova ebraica. Ma molti in città mostravano anche inquietudine e preoccupazione di fronte alla sfida di convivere nelle province lombarde venate di intolleranza e incapacità di integrazione, fra popolazioni diverse. Non ci volle molto per vedere che Fabio aveva dietro alle spalle amici straordinari e accanto collaboratori preziosi (primi fra tutti la storica Maria Bacchi e la giurista Angelica Bertellini). Ma soprattutto che aveva attorno la sua città. La chiamata a raccolta di tanti esponenti delle culture e delle etnie minoritarie locali (a cominciare dalle organizzazioni dei Rom e dei Sinti, dall’Istituto mantovano di storia, dalle rappresentanze di molte altre minoranze religiose, culturali, sociali e sessuali) e l’aggancio con la Rassegna stampa UCEI consentì la nascita dell’Osservatorio Articolo 3, oggi un gruppo di lavoro agguerrito ed esperto nella lotta a tutti i razzismi, che da Mantova vigila su una delle realtà sociali più difficili d’Italia e costituisce un modello per l’Ufficio antidiscriminazioni della Presidenza del Consiglio e anche per le istituzioni dell’Unione europea. La riuscita stava nell’esempio che Fabio ci ha lasciato, nella sua capacità di mettere in collegamento la tradizione antichissima di una Comunità ebraica gloriosa e la società contemporanea, le esigenze della gente comune e la sensibilità di parlare con loro, di stare dalla loro parte. Fabio era uno di quei presidenti che tirano la carretta dell’Otto per mille, la preziosa risorsa che tutela anche la sopravvivenza delle istituzioni ebraiche italiane e che dipende da come la realtà degli ebrei italiani si lascia percepire dalla popolazione, da quanto si lascia capire, da che cosa testimonia. Nei palazzi dei poteri locali, di fronte ai numi della cultura all’Accademia Virgiliana, alla Biblioteca Teresiana, alla prestigiosa Università che la città si è conquistata, ai direttori del Festival di Letteratura, Fabio si presentava a testa alta. Era un uomo semplice, schietto, concreto, ma non sapeva cosa fossero i complessi di inferiorità. Nella sua sinagoga, nella favolosa sala del Teatro scientifico, con migliaia di studenti ad Auschwitz; per la gente era solo il Presidente. Lo rivedo testardo attraversare la piazza Sordello arroventata sotto al sole dei primi di settembre e affollata dai primi arrivi del Festival Letteratura con tante copie dello speciale che Pagine Ebraiche ha dedicato alla grande manifestazione culturale. Dirigersi su Roma a dicembre, solo pochi giorni prima di andarsene, per riaffermare con decisione al Consiglio dell’Unione l’esigenza di tutelare un’informazione ebraica di alto profilo, aperta alla pubblica opinione e a tutte le Comunità. E tornano i frammenti di vita, come quando, dopo aver preso assieme un caffè ai tavolini di un piccolo locale, ha fatto il gesto di pagare e ci siamo sentiti rispondere: “Ma Presidente, per carità, lei da noi è un ospite”. Di cosa voleva sdebitarsi quel cortese signore offrendoci un caffè? Forse del fatto che né Mantova né l’Italia sarebbero le stesse senza le comunità degli ebrei italiani. In quella tazzina ho trovato molto da imparare e molto lavoro da compiere, come ebreo italiano e come cittadino. Oggi Mantova è una delle capitali culturali dell’Italia ebraica. La sinagoga apre le sue porte alla cittadinanza e arrivano i primi milanesi ben disposti a sobbarcarsi un poco di pendolarismo d’altri tempi, stufi di respirare aria cattiva e di scontrarsi con gente ingrugnata. La Comunità raccoglie senza esitazioni un’eredità difficilissima e appassionante. Al momento dell’ultimo saluto a un ebreo italiano che era grande per il bene compiuto più che per quello che andava proclamando, varcando con gli occhi lucidi assieme alla sua Licia, ai figli Aldo e Emanuela, ai nipoti Rebecca, Alessandro e Davide, quel ponte sul Mincio che porta al cimitero ebraico, con Fabio c’era tutta la città. Si impara a fare i conti con il tempo e con il ricordo degli amici che ci lasciano. Il dolore più grande, tornando a Mantova per rendergli omaggio, è venuto nel vuoto di quel solito piazzale dove mille volte ci siamo incontrati. Ma per i colleghi e per me, per moltissimi ebrei italiani, per la sua Comunità, soprattutto per la sua gente, tutta la gente che lo ha incontrato e che gli voleva bene, per la città intera, non sono state lacrime vane. Riprendiamo anche nel suo nome il cammino a testa alta, raccogliendo la sua energia e il suo sorriso, lungo la strada dove da millenni gli ebrei italiani continuano a segnare i propri percorsi.

g.v. (Pagine Ebraiche, febbraio 2012)