Memoriae

Tra le varie manifestazioni svolte, in tutto il Paese, per il Giorno della Memoria – ampiamente illustrate e commentate su questo portale -, ci si permetta di segnalare ancora, per la particolare ricchezza di contenuti e la vastità di soggetti coinvolti, la catena di iniziative intitolata “Memoriae. Una settimana per non dimenticare”, promossa dal Comune di Napoli, dall’Associazione Valenzi e dall’Associazione Libera Italiana, di concerto con numerosi partner (Prefettura, Questura, Esercito Italiano, Ferrovie dello Stato, CCIAA Benevento, Comesvil, Confartigianato, Edizioni Cento Autori, Emeroteca-Biblioteca Tucci, La Casa dell’Architetto B&B) e col patrocinio di svariate Associazioni, Istituzioni ed Enti (Comunità Ebraica, Ufficio Scolastico Regionale, Arcigay, Associazione Italia-Israele, Associazione Nazionale ex Internati, ANPI, Fondazione Polis, Libera, Opera Nomadi).
Il progetto – come espresso dal titolo – ha inteso andare al di là della celebrazione di una singola Giornata, coinvolgendo la cittadinanza – caso, a quanto risulta, finora unico – in un’intera settimana di riflessione (dal 23 al 30 gennaio), scandita da una nutrita serie di conferenze, dibattiti, concerti, mostre, tutti incentrati sul tema della memoria, intesa come imperativo legame di solidarietà tra le generazioni e collante morale della comunità civile. Il plurale “memoriae”, inoltre, ha inteso dare l’idea di una commemorazione della Shoah ‘naturalmente’ destinata ad espandersi, ad apparentarsi con la solidarietà verso le vittime di altre forme di soprusi e ingiustizie.
È noto che la salvaguardia della specificità della Shoah rappresenta un valore da difendere con attenzione, soprattutto di fronte ai ricorrenti rigurgiti negazionisti o revisionisti, e ai frequenti tentativi di banalizzazione, tesi, più o meno consapevolmente, a fare sbiadire il ricordo dell’Olocausto nel generico calderone delle umane violenze e cattiverie. Il rischio che tale valore – ossia la consapevolezza dell’unicità, della peculiarità della Shoah – possa essere scalfito, attraverso i reiterati accostamenti ad altre esperienze, certamente, esiste, ma non si può non affrontarlo, in quanto è lo stesso valore pedagogico della memoria che sollecita – sul piano culturale, etico, civile – un dovere di “vigilanza totale”, a 360° gradi, contro il male, la sopraffazione. I ragazzi a cui si racconta di Auschwitz pretendono di sapere in che modo, qui ed ora, essi possono mettere a frutto la lezione appresa. E sono estremamente recettivi nei confronti di chi indichi loro delle frontiere di impegno possibili, attuali: accanto, per esempio, alle vittime odierne della camorra, del razzismo xenofobo, dell’omofobia, di ogni discriminazione. Anche piccola, minuta: i giovani sanno ben capire la differenza tra un semplice insulto razzista, magari dato nella foga di una partita di pallone, e la morte in una camera a gas. Ma, proprio perché lo capiscono, capiscono anche che è più facile intervenire al primo segnale, al primo sintomo della malattia.
La settimana napoletana – un cui consuntivo è stato tracciato in un pubblico incontro nei locali della Comunità Ebraica di Napoli, lo scorso mercoledì 15 febbraio, alla presenza, fra gli altri, di Nico Pirozzi (principale ideatore e animatore dell’iniziativa) – ha dimostrato, senza dubbio, una grande sensibilità sul tema da parte della cittadinanza, e una pressante richiesta di conoscere, sapere, capire. Anche se ha riproposto, contemporaneamente, la difficoltà di farlo, la sostanziale incomunicabilità dell’esperienza estrema che ha segnato il secolo scorso. Un sentimento, credo, diffuso tra coloro che osservavano il carro bestiame, donato dalle Ferrovie dello Stato, esposto a piazza del Plebiscito, adibito, appena 68 anni fa, a fare la spola tra la stazione Tiburtina di Roma, il binario 21 della stazione di Milano, e la ‘Bahnrampe’ di Auschwitz-Birkenau. Una grande folla ammutolita ha partecipato, innanzi a tale terribile monumento, al kaddish officiato, il pomeriggio di venerdì 27 gennaio, dal Rabbino Capo di Napoli e dell’Italia meridionale, Scialom Bahbout. Gli occhi di tutti erano fissi sul sinistro contenitore: una grossa scatola di legno, ben chiusa, con delle ruote di ferro, atte a farla camminare. Un oggetto semplice, funzionale. Insieme facile e impossibile da comprendere.

Francesco Lucrezi, storico