L’Iran conquista l’Oscar, Israele conquista Hollywood

Nella notte degli Oscar, dai salotti delle loro case gli israeliani hanno fatto spasmodicamente il tifo per Footnote. Dopo di che, finita la festa, si sono infilati le scarpe e sono andati a mettersi in coda per vedere A separation. Il film iraniano fresco vincitore dell’Academy Award per la miglior pellicola straniera è uscito nelle sale cinematografiche di Gerusalemme a metà febbraio e da allora sbanca i botteghini. Troppo forte la curiosità di sbirciare oltre le pesanti tende del fanatismo dei leader politici iraniani per scoprire come vive a Teheran una famiglia media nel privato della sua abitazione. Cioè in modo non molto diverso da una famiglia di Tel Aviv, come ha rilevato il critico Yair Raveh sulla rivista cinematografico Pnai Plus. “A separation è un film bene interpretato, scritto in maniera eccezionale, incredibilmente commovente. In definitiva, non fa pensare a bombe atomiche e dittatori che minacciano la pace nel mondo, ma a persone che guidano la macchina e vanno al cinema. Proprio come noi”. Somiglianza e identificazione. Queste le sensazioni che l’opera del regista Asghar Farhadi, la storia della separazione di una coppia di coniugi (lei vuole andarsene dall’Iran per dare un futuro migliore alla figlia, lui non vuole abbandonare l’anziano padre), suscita nel pubblico dello Stato ebraico. Sensazioni simili a quelle provate dalla troupe di Footnote nel vedere salire sul palco del Kodak Theatre la squadra di A separation e dedicare l’agognata statuetta agli iraniani in tutto il mondo “perché in un tempo in cui si parla tanto di guerra e di minacce, il nostro paese è oggi celebrato per la sua gloriosa cultura, una cultura ricca e antica, coperta dalla polvere dei politici”. Durante una pausa, Joseph Cedar, Shlomo Bar-Aba e Lior Ashkenazi, il regista e i due attori protagonisti di Footnote, sono andati a congratularsi con loro insieme al produttore Moshe Edery. Bar-Aba li aveva già incontrati in albergo. “Ho spiegato che Footnote descrive un conflitto familiare, l’attrito fra un padre e un figlio – ha dichiarato l’attore al quotidiano Haaretz – Mi hanno risposto che A separation racconta le stesse cose. L’attrice iraniana ha aggiunto che ‘entrambi abbiamo la volontà di risolvere l’ostilità fra i nostri due paesi, ma non abbiamo tempo per farlo perché siamo impegnati a risolvere i nostri contrasti familiari, e da lì nasce tutto’. E mi ha invitato a notare quanto siamo simili”.
Ma questo non è stato l’unico confronto emozionante per la delegazione israeliana, che ha ricevuto i complimenti di Steven Spielberg, di George Clooney (“si è messo a scherzare con me in yiddish” ha rivelato Bar-Aba) e persino quelli della regina degli Oscar Meryl Streep, alla terza statuetta in carriera grazie alla performance in The Iron Lady.
“La vittoria di A separation, dopo tutti i premi che aveva già conquistato, era prevedibile – spiega Every – Cedar continuava a ripetere di non farci illusioni. Ma d’altra parte lui è fatto così, un concentrato di umiltà. Non credeva che avremmo ricevuto la nomination e anche a Cannes se n’è andato prima della premiazione. Salvo poi dover tornare di corsa per ricevere il riconoscimento per la miglior sceneggiatura. La modestia è la sua grandezza”.
Il cinema israeliano dovrà aspettare ancora per mettere in bacheca il suo primo Oscar, ma con quattro nomination consecutive negli ultimi quattro anni (Beaufort dello stesso Cedar, Valzer con Bashir e Ajami) può comunque essere soddisfatto. “Nessun altro paese delle nostre dimensioni è riuscito a fare tanto” ha sottolineato Katriel Schory, direttrice dell’Israeli Film Fund.
“Quando siamo arrivati agli Academy Awards con Beaufort, Cedar mi disse che saremmo tornati. Ed eccoci qui oggi – conclude Edery – Sono sicuro che domani verrà da me domandandosi che cosa dobbiamo fare per vincere il prossimo Oscar”.

Rossella Tercatin – twitter@rtercatinmoked