…yiddish

Seppellire la memoria di una lingua, ci dice Marek Halter sulla Repubblica di ieri, è più difficile che seppellire i corpi. Eppure, Halter credeva che Hitler, pur perdendo la suia scommessa di annientare gli ebrei, avesse vinto almeno quella di annientare lo yiddish. Ma si è ricreduto visitando la Repubblica del Birobidzhan, che credeva quasi scomparsa negli ultimi anni della vita di Stalin, con la grande repressione degli ebrei russi e della cultura yiddish. E invece, la Repubblica autonoma degli ebrei, creata in Siberia nel 1932 per dare una patria agli ebrei russi, esiste ancora, e Halter l’ha visitata, incontrando rabbini e maestre di yiddish, due sinagoghe e un teatro in yiddish, in una città, la capitale, che contiene forse ottomila ebrei, ma in cui quasi tutti gli abitanti, oltre settantamila, hanno almeno un antenato ebreo, anche i cinesi e i coreani. Collocato a novemila chilometri da Mosca, il Birobidzhan guarda geograficamente verso la Corea, ma la sua cultura è quella dell’Europa orientale, della Russia e della Polonia del Novecento. Il russo ha in parte soppiantato lo Yiddish, certo, ma non del tutto, ed esso viene ancora insegnato come una lingua viva, un utile strumento di vita. È un reportage straordinario su qualcosa di cui pochi ancora sanno e su cui forse vale la pena di tornare a riflettere, ricollocandolo nel contesto del mondo ebraico e delle sue molteplici anime.

Anna Foa, storica