L’intelligenza che manca

Che cosa avrebbe detto Primo Levi, che al canto di Ulisse ha dedicato pagine meravigliose? Forse avrebbe preferito non commentare. In effetti non dovremmo sprecare inchiostro sulla proposta demenziale di censurare la Divina Commedia perché antisemita, islamofoba e omofoba. Le stupidaggini non meritano commenti e pubblicità. Per contro, trovo interessanti i commenti sulla boutade di ieri. Sia il «Corriere della Sera» sia il «Giornale» ascrivono questa intemerata al politicamente corretto, alla «cultura del piagnisteo». E così facendo ingenerano, volutamente o meno, un equivoco pericoloso. Che cosa c’entra il politicamente corretto con questa scemenza sesquipedale? Non è forse troppo facile aggrapparsi alle farneticazioni di un gruppuscolo inesistente per attaccare il «politicamente corretto»? Le questioni sono due. Innanzitutto occorre abbandonare qualunque tentazione censoria. In linea generale chiunque può scrivere ciò che vuole, a meno di commettere un reato. E poi. Il politicamente corretto, pur tra le mille risibili imperfezioni, è un tentativo di evitare inutili sofferenze alle persone. Io preferisco se non mi chiamano «giudio» o «ebreaccio», così come altri non amano essere definiti «negri», «zingari», «ciccioni» o «mongoloidi». Talvolta si può esagerare, certo, ma il singolo errore non contraddice il meccanismo virtuoso. L’intelligenza, quella che manca a chi vuole correggere Dante, rimane il vero metro di giudizio. «Ma tu sei gay?» domanda all’amico un protagonista di un vecchio film di Ozpetek. La risposta geniale è: «No, io sono frocio. Io sono all’antica». Insomma, basta usare la testa e si può dire proprio tutto.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas