Storie – Le ragazze che salvarono la Svizzera
A proposito di Giusti e della proposta di Gabriele Nissim e di altri intellettuali di istituire una giornata europea per ricordare il loro coraggio (il 6 marzo?), c’è una storia poco conosciuta che arriva dalla vicina Svizzera. Può il gesto di un gruppo di ragazzi cambiare il mondo? Nell’estate del 1942 questo fu possibile. Almeno in parte.
Il 7 settembre di quell’anno, 22 allieve quattordicenni (su 32) della II C della cittadina di Rorschach, nel canton San Gallo, vicina al confine con Germania e Austria, sulle rive del lago di Costanza, scrissero una lettera al governo svizzero: “Egregi Signori Consiglieri Federali, Non possiamo fare a meno di dirvi che noi alunne siamo profondamente indignate che i profughi vengano ricacciati così spietatamente verso una sorte tragica (…) Se continueremo così, possiamo essere certi che il castigo ricadrà su di noi. E’ possibile che voi abbiate ricevuto l’ordine di non accogliere ebrei, ma questa non è certamente la volontà di Dio, e noi dobbiamo ubbidire più a Lui che agli uomini…”.
La loro lettera non passò inosservata. Il Consigliere federale Eduard von Steiger non esitò a trasformare quel breve scritto in una “questione di Stato”, aprendo consultazioni con colleghi di governo e con parlamentari autorevoli nonché interpellando il Ministero pubblico della Confederazione con l’intento di punire un docente della classe sospettato di essere stato l’istigatore della lettera. E’ il tema del bel libro di Silvana Calvo, A un passo dalla salvezza. La politica svizzera di respingimento degli ebrei durante le persecuzioni 1933-1945 (Silvio Zamorani Editore, Torino 2010), che ho presentato la scorsa settimana alla Casa della Memoria e della Storia a Roma, assieme a Giacomo Kahn e Grazia Di Veroli, in un’iniziativa organizzata dall’Aned e dall’Anpi.
Fu grazie al caso sollevato da quella lettera che la Svizzera aprì finalmente agli ebrei le sue frontiere, pur con molte cautele e limitazioni (vennero accettate solo le famiglie con bambini, gli anziani oltre i 65 anni, le persone “manifestamente” ammalate, le donne incinte e poche altre categorie di bisognosi), dopo la chiusura quasi totale degli anni precedenti (a quanto risulta dai dati ufficiali, dall’ottobre del ‘40 all’aprile del ‘42 furono accolti in Svizzera solo 176 ebrei!).
Fu grazie al coraggio di quelle ragazze, e anche – bisogna ammetterlo – alla capacità delle istituzioni svizzere di aprire un dibattito su questo tema, che poterono trovare ospitalità in Svizzera oltre 21 mila ebrei, tra i quali 3.600 italiani, ai quali vanno aggiunti altri 1.833 ebrei di varie nazionalità che fuggirono dall’Italia. Si potrebbero citare Umberto Terracini, Gianfranco Moscati, Pupa Garribba, Lea Ottolenghi, Susanna Colombo (che ha raccontato la sua esperienza alla presentazione del libro)…
Certo, la politica di asilo della Svizzera non fu priva di errori e di contraddizioni: migliaia di ebrei vennero respinti alle frontiere perché non rientravano nelle categorie dei bisognosi, nonostante fin dal 1942 le autorità svizzere fossero a conoscenza delle uccisioni degli ebrei e del trattamento inumano subito da parte dei nazisti. Non tutti furono accolti e, a causa di questo diniego, in molti casi la loro sorte fu la deportazione e la morte, come avvenne per Alberto Segre, Jolanda De Benedetti, Rino e Giulio Ravenna e tanti altri.
Resta il gesto di quelle ragazze, che si ribellarono all’indifferenza del governo svizzero nei confronti delle povere famiglie di ebrei che fuggivano dall’Europa occupata dai tedeschi e sognavano la Svizzera come il Paradiso delle libertà. Non meriterebbero anche loro il riconoscimento di Giusti fra le Nazioni?
E il loro esempio, come ha sottolineato Giacomo Kahn, non dovrebbe insegnare qualcosa anche a noi italiani di oggi – con le dovute differenze, per carità – quando si affronta la questione delle politiche di respingimento degli immigrati, soprattutto quelli provenienti da Paesi dove non c’è libertà e le minoranze etniche e religiose vengono perseguitate?
Mario Avagliano