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L’altro ieri Dario Calimani notava, giustamente, che il mancato canto dell’inno Hatikvah da parte del giudice arabo della Corte Suprema israeliana Salim Joubran, non significa che egli sia un giudice meno preparato degli altri suoi colleghi. Bibi Netanyahu – con gesto da vero liberale – ha assolto il giudice arabo dall’incombenza di recitare il versetto in cui “l’anima ebraica anela con gli occhi rivolti a Sion”. Ma l’episodio ha significati ben più profondi. Implica la fine ufficiale dell’illusione che Israele possa essere lo Stato di tutti i suoi cittadini – tanto è vero che non tutti i suoi cittadini sono in grado di cantarne l’inno nazionale. E per l’identico motivo, implica la fine ufficiale dell’illusione che Israele possa essere lo stato del popolo ebraico. C’è chi chiede il cambio dell’inno nazionale Hatikvah, il che di fatto significherebbe la sostituzione di Israele con un altro Stato. E c’è chi invita a riconoscere che, seguendo le leggi della demografia e della democrazia, Israele sta diventando, anzi è diventato, uno stato bi-nazionale. Il cambio dell’inno vorrebbe dire l’abbandono della vecchia retorica di fronte alla nuova realtà. Se vogliamo invece difendere il vecchio e suggestivo inno di fronte alla nuova realtà, occorre in Israele una radicale riforma nel rapporto fra popolazione e territorio. La soluzione si chiama due Stati per due popoli. In uno Stato tutti potranno cantare Hatikvah, e nell’altro Stato tutti potranno cantare quello che vorranno.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme