Qui Roma – Come possiamo studiare Torah?
Certo, un po’ spiazzante il finale della lezione di ieri con Rav Michel Monheit al Centro Bibliografico dell’Ucei, in occasione del quarto incontro del ciclo “Quale identità ebraica. Generazioni a confronto”: dopo un’ora e mezza di analisi sul testo ha interrotto la lezione sul più bello. “Ci lascia così?!” ha esclamato più di una persona tra il pubblico. Un pubblico variegato, eterogeneo per interessi, formazione e provenienza, colorito dalla presenza di alcuni rabbini come Gianfranco Di Segni e Roberto Colombo. Monheit ha risposto: “Si, vi lascio così.. proprio così!”. Ma non è solo questo aspetto a suscitare dei vivaci interrogativi: il continuo ribadire in modo determinato, da parte del rav, che quando lui studia Torah non vuole fare sociologia, psicologia o altro – ovvero utilizzare o prendere in prestito concetti e visioni del mondo da altri sistemi di riferimento e conoscenza – ha posto non poche questioni, sicuramente interessanti. Al di là dei contenuti trattati – che chi vuole continuare ad approfondire potrà farlo in altre occasioni in questi giorni a Roma – chi conosce rav Monheit sa che qui non è in questione se lasciare fuori o meno dalla propria vita o formazione la Cultura, dato che lui in primis ha studiato filosofia. Si tratta piuttosto di due metodi di studio a cui si può approcciare quando si studia Torah. C’è chi studia Torah per entrarci dentro, immergendosi nel suo linguaggio e i suoi personaggi, le sue storie, lasciandosi trasportare dai percorsi che incontra, dove ogni parola fa risuonare altre parole all’interno, e solo all’interno, di questo sistema: questi sembra non lasciare fuori nulla e quando entra non sa dove o quando finisce. C’è chi invece studia Torah per interesse e curiosità, consapevole del fatto che la tradizione ebraica fa parte della propria cultura: questi lascia sempre fuori uno sguardo alla ricerca di una visione di insieme, si fa trasportare dalle suggestioni che riceve da dentro e da fuori, le mette a confronto e tenta di creare ponti tra questo dentro e questo fuori. Questi si pone sui margini. Chi ha ragione? E – citando il titolo del ciclo di incontri suddetto di cui la lezione di rav Monheit fa parte – quale approccio è proprio dell’identità ebraica? Non possiamo rispondere che forse rappresentano due posizioni da cui guardare diversamente le cose? Due esperienze diverse, come sono l’esperienza d’amore da una parte e il desiderio di capire il mondo dall’altra? Forse che queste non appartengono a ognuno di noi? “Vai e studia” diceva Hillel. Forse è stato proprio questo l’insegnamento ieri: aldilà delle singole posizioni, la cosa importante è sapere che quando si comincia a studiare è come inaugurare un viaggio che non sempre sai dove ti porta, in cui ti metti in gioco. E’ un’esperienza che ti cambia e da cui sicuramente “non ne ne esci come sei entrato”.
Ilana Bahbout