Il futuro dei giovani
Un secolo di gioventù ebraica in Italia. Ripercorrere le vicende dei giovani ebrei italiani e delle loro organizzazioni aiuta a riflettere sull’evoluzione della nostra comunità. La generazione post-unitaria si pose il problema del rapporto tra l’ideale nazionale e il mantenimento della tradizione; la generazione del fascismo ebbe il compito di recuperare la tensione religiosa parzialmente perdutasi negli anni precedenti; la generazione del Dopoguerra sostenne la rinascita delle comunità, assorbendo il trauma della Shoah e metabolizzando il rapporto con il novello Stato d’Israele; la generazione dei nati dopo la guerra assorbì i mutamenti che attraversavano l’Italia alla ricerca di una via ebraica di trasformazione.
Si tratta di una semplificazione brutale, e di questo mi scuso con gli esperti. Ci aiuta però a ragionare sulle peculiarità della nostra generazione. I giovani ebrei non hanno oggi un ideale di lungo periodo, una «passione lunga», e trovano spesso nell’appartenenza alla comunità l’unico vettore di senso; non conoscono il futuro che li attende, e questo li rende disponibili allo spostamento per ragioni professionali e personali; rispetto all’ambito ebraico la sopravvivenza della comunità di origine non è data per scontata, e le dispute su come garantirne la continuità (religiosi vs. laici, per esempio) assumono quindi una veemenza particolare.
In questi anni, tuttavia, attorno all’Unione dei giovani ebrei è cresciuta una giovane classe dirigente decisamente vivace, buon viatico per il futuro; anche le istituzioni ebraiche, va riconosciuto, hanno mostrato una certa permeabilità al ricambio e all’inserimento di energie fresche.
Sono solo spunti. Di questo e altro si discuterà al convegno di presentazione della ricerca sui giovani ebrei, organizzato questa domenica dalla Comunità ebraica di Milano e dall’Associazione Hans Jonas. Partecipano, tra gli altri, Cobi Benatoff, rav Roberto Della Rocca, Saul Meghnagi, Raffaele Turiel.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas