Rav David Prato, un rabbino che sapeva parlare alla gente
Posti in piedi domenica scorsa al Centro Bibliografico dell’Ucei “Tullia Zevi” per il convegno sulla figura di Rav David Prato, rabbino capo di Roma e Direttore del Collegio rabbinico negli anni 1937-38 e 1945-51. Il convegno è stato organizzato congiuntamente dal Centro di cultura della Comunità ebraica di Roma e dal Collegio rabbinico italiano, con il patrocinio della Fondazione Museo della Shoah. Dopo i saluti di Miriam Haiun e di Leone Paserman, gli interventi dei relatori sono stati introdotti ed egregiamente coordinati da Mario Toscano, professore di storia alla Sapienza Università, che ha inquadrato il contesto storico e culturale (il ventennio fascista, il sionismo) in cui Rav Prato si formò e svolse il suo operato rabbinico. Angelo Piattelli, responsabile del Museo di Arte ebraica italiana U. Nahon a Gerusalemme, ha tracciato un dettagliato excursus sulla vita e le opere di Rav Prato, nato a Livorno nel 1882 e trasferitosi giovanissimo a Firenze alla scuola di Rav Margulies, di cui raccolse l’ultimo respiro il giorno di Purim del 1922. Piattelli ha accompagnato l’intervento con decine di fotografie del rabbino e della moglie Corinna Servi e dei figli in diverse comunità ebraiche del Mediterraneo e proprio di queste ha parlato Simonetta Della Seta, Consigliere per gli Affari culturali dell’Ambasciata d’Italia in Israele, che ha descritto il periodo in cui Rav Prato fu Gran Rabbino ad Alessandria d’Egitto (dove c’era una folta comunità ebraica in buona parte italiana) e Direttore del Collegio rabbinico di Rodi (che dal 1912 era sotto il dominio italiano). In entrambi i luoghi Rav Prato diede una sferzata all’educazione ebraica, nelle scuole e nelle comunità in generale.
Dopo il coffe break, Anselmo Calò, in qualità di vicepresidente, ha portato i saluti dell’Ucei, e ha stimolato i relatori a riflettere sulla fuga precipitosa di Rav Prato dall’Italia fascista nel 1938 per rifugiarsi in Eretz Israel, da dove sarebbe tornato solo a guerra finita per riprendere le redini della Comunità stravolta dalle persecuzioni, le deportazioni e le tragiche vicende interne. Su questo periodo si è incentrato l’intervento di Rav Riccardo Di Segni, attuale Rabbino capo di Roma e Direttore del Collegio rabbinico, che ha presentato diversi documenti tratti dai verbali del Collegio e dall’Archivio storico della Comunità di Roma, oltre che riportare memorie della sua stessa famiglia. Particolare impressione ha suscitato nell’affollata sala la lettera di Rav Prato all’esattoria delle tasse che continuava insistentemente a chiedere un pagamento a Laura Prato, figlia del rabbino: ma Laura era stata ammazzata ad Auschwitz e la sua casa di Firenze era andata completamente distrutta. “Che cosa si vuole di più? E che cosa si vuole da me o dalle due minorenni orfane rimaste sfornite di tutto?”, scriveva il rabbino nella lettera.
Rav Amedeo Spagnoletto, presente virtualmente grazie a un filmato registrato, ha parlato dei Sifrè Torah di Roma, il cui restauro fu realizzato per iniziativa di Rav Prato, e della storia del Sefer Torah donato alla Comunità ebraica di Addis Abeba (ma che a quanto pare non ci arrivò mai). L’ultima parte del convegno è stata dedicata alle testimonianze dirette di parenti, allievi e conoscenti, seguite con molto interesse. Per primo ha parlato il nipote di Rav Prato, che porta il suo stesso nome, David Prato, avvocato in Israele, arrivato apposta per il convegno insieme alla sua famiglia, che ha ricordato con commozione gli anni in cui visse a Roma da bambino (“Davidino briccolino”, era chiamato) e di quando riceveva la berakhà sotto al talled del nonno al Tempio Grande. Ha proseguito poi Rav Alberto Piattelli, che di Rav Prato fu giovane allievo, ricordando il giorno della morte, l’8 marzo 1951, e la profonda partecipazione che tutta la comunità manifestò per il proprio rabbino. Natan Orvieto, di famiglia toscana come Rav Prato, ha sottolineato la voce lirica, armoniosa e vibrante del rabbino, che in gioventù era stato primo chazan al tempio di Firenze. Fortunata Di Segni ha parlato anche lei di ricordi di famiglia e ha ricordato il sorriso che Rav Prato aveva sempre per tutti. Dopo alcuni interventi dal pubblico (Giorgio Sestieri, in qualità di presidente dell’Ose, il cui asilo verrà intitolato alla figura di Rav Prato, Giuliana Piperno Beer, Claudio Fano), ha concluso la densa mattinata Rav Vittorio (Chaim) Della Rocca, che ha parlato dell’affetto che Rav Prato aveva per gli orfani della comunità (Rav Prato stesso divenne orfano in tenera età) e di come proprio grazie all’intervento di Rav Prato il giovane Chaim iniziò la sua lunga carriera di chazan e poi di morè e rabbino. Tutte le testimonianze hanno tracciato una figura rabbinica le cui “parole toccavano il cuore della gente… un rabbino che sapeva mantenere il contatto con la sua gente ed esprimerne le emozioni” (dall’autobiografia di Amos Luzzatto, Conta e racconta, Mursia 2008, pp. 45-46).
Il convegno si è concluso con le note dell’Hatikvà cantata da rav Prato. Da brividi: sentire per credere clicca qui
la registrazione audio/video dell’intero convegno sarà disponibile nel sito moked.it/cultura/collegio rabbinico e gli atti saranno pubblicati da La Rassegna Mensile d’Israel.
rav Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio rabbinico italiano