Dolore e sdegno nell’Italia ebraica

Ieri sera l’Italia ebraica è tornata a stringersi nel dolore in ricordo delle vittime dell’attacco antisemita di Tolosa. Due partecipati momenti di raccoglimento hanno avuto luogo nelle sinagoghe maggiori di Roma e Milano richiamando migliaia di cittadini e molte autorità, politiche e religiose, che hanno voluto così testimoniare la loro vicinanza alla comunità ebraica italiana in queste ore di profonda angoscia e preoccupazione.

“I nemici oggi sono soprattutto sulla rete e al momento non si fa abbastanza per combatterli”. Ad affermarlo, in uno dei passaggi più significativi di una cerimonia difficile da dimenticare per l’intensità e la straordinaria partecipazione di gente che ha fatto da cornice ai vari interventi, il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici. Molte tra le persone ritrovatesi al Tempio maggiore di Roma si sciolgono in un applauso che alleggerisce l’angoscia, la rabbia e la commozione che tanti provano dopo la ferita mortale di Tolosa. Momenti di grande partecipazione anche a Milano, dove alla sinagoga centrale di via Guastalla il suo omologo milanese Roberto Jarach, accompagnato come nella Capitale dalle massime autorità cittadine, invita i media e la classe politica a non cercare motivazioni strumentali a comportamenti “che nascono negli anfratti più bui della stessa natura umana”.
A Roma la tensione è palpabile già all’esterno del luogo di culto. Ad accogliere la folla, che minuto dopo minuto gremisce il Tempio in ogni ordine di posto costringendo molti tra i presenti a seguire gli interventi in piedi, uno striscione, sostenuto da un gruppo di giovani, che reca la scritta: “Grazie all’ipocrisia del mondo, bambini ebrei uccisi ancora. Vergogna!”. Attimi di tensione anche all’interno della sinagoga dove, alcuni istanti prima della recitazione del kaddish in ricordo delle vittime di Tolosa e dei 335 trucidati alle Fosse Ardeatine il 23 marzo di 68 anni fa, sono esplose alcune contrapposizioni (poi fortunatamente placatesi) tra esponenti di diverse anime del mondo ebraico romano. Siedono tra gli altri in sinagoga il ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede Mordechai Lewy, l’ambasciatore di Israele in Italia Naor Gilon, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e l’imam Yahya Pallavicini.
“Abbiamo appena recitato un kaddish per le vittime delle Fosse Ardeatine – spiega rav Alberto Funaro in apertura di cerimonia – adesso ci apprestiamo con tristezza a compiere nuovamente il nostro dovere per un Maestro e per tre bambini che non ci sono più. A distanza di 30 anni dall’attentato che uccise il piccolo Stefano Gay Taché il nostro cuore gronda ancora dolore, le nostre ferite non si sono rimarginate”. Il rav esorta poi alla speranza, a non arrendersi ai fautori dell’odio, della violenza e dell’annientamento: “Tra pochi giorni, durante il Seder pasquale, leggeremo Veishamda. È quello un brano che ci deve dare la forza, che parla dei nostri nemici e dei mali che ci vogliono infliggere ma anche di come il Signore, Kadosh Baruch U, sia sempre al nostro fianco per aiutarci a combatterli”. Commosso e incisivo anche rav Benedetto Carucci Viterbi, preside delle scuole ebraiche di Roma, una delle vittime di quel maledetto 9 ottobre del 1982 che portò terrore e morte nel cuore della Capitale. “Tutte le cose, come ci insegnano i Maestri, hanno un significato. Uccidere i bambini davanti a una scuola – sottolinea il rav – è un fatto che porta con sé un messaggio spaventoso: vogliamo negare il vostro futuro. Come dice il Talmud, chi non ha figli è un uomo morto”. A seguire rav Carucci propone una riflessione sul significato di libertà. Siamo davvero liberi, si chiede, quando siamo costretti a vivere all’ombra il nostro ebraismo per timore di essere aggrediti? Durissimo Riccardo Pacifici: “Ringrazio le molte autorità presenti oggi, tra cui esponenti dell’Islam con cui intendiamo ulteriormente rafforzare i rapporti, ma nonostante la folta presenza di gente in sinagoga devo tristemente constatare che siamo soli”. La solitudine, spiega Pacifici, deriva dal fatto che poche sono state le voci di solidarietà espresse del mondo islamico italiano in questi giorni. “È un fatto – spiega – che ci amareggia e che allo stesso tempo ci preoccupa”. Nel mirino del leader degli ebrei romani ci sono soprattutto alcune frange estremiste che covano i loro terribili propositi nell’ampia galassia del web. “Oggi il nemico è spesso invisibile – dice – gira nella rete, fa reclutamento sulla rete. I politici devono prendere un impegno fermo in questo senso. Alcuni obiettivi sono già stati raggiunti, ma restano ancora molte cose da fare con la massima urgenza”. Nell’intervento di Pacifici, che rilancia l’obiettivo di far iscrivere il nome di Stefano Gay Taché tra le vittime italiane del terrorismo e di ricordare il trentesimo anniversario del suo assassinio al Quirinale, spazio anche per alcuni istanti di angoscia e intimità familiare. “L’altro giorno, al momento di essere messo a letto, mio figlio mi ha chiesto due cose. La prima è che io smettessi di fare il presidente della Comunità di Roma perché aveva paura per la mia incolumità. La seconda, una richiesta alla quale non sono stato in grado di dare una risposta affermativa, è stata: papà, mi prometti che non mi succederà niente?”.
“Di fronte a quello che è successo a Tolosa, non ho parole per esprimere il dolore. Per questo le prenderò in prestito da altri, dalla Bibbia, dai Maestri. Perché tutto il resto mi sembra inadeguato”. Così Rav Alfondo Arbib nell’affacciarsi dalla tevah del Tempio centrale di Milano di via Guastalla, davanti alla sua Comunità, alle massime autorità cittadine, ai rappresentanti di varie comunità religiose, a tanti cittadini milanesi, per rivolgere un pensiero e una preghiera alle vittime della strage di Tolosa. Ma fermarsi al dolore, in un caso del genere non basta, il suo monito. “Siamo davanti a un evento orribile, ma non unico. L’antisemitismo è un filo rosso lungo la storia dell’umanità e tragicamente non si riesce a interrompere. Ricordiamoci di Amalek che dopo l’uscita del popolo ebraico dall’Egitto vuole la sua distruzione. La cosa tremenda è che non la Torah non ci dice il perché. E non c’è un perché, l’odio è gratuito. L’antisemitismo è odio gratuito, qualsiasi motivazione è una maschera. Quest’odio si può combattere, combattendo l’educazione ad esso. Tutti insieme, senza se e senza ma”.
Era piena la sinagoga di Milano. Centinaia di persone sono arrivate per abbracciare la Comunità ebraica e per rivolgere un pensiero a quanto accaduto in Francia. “Si può forse chiamare uomo colui che uccide bambini innocenti?”, si domanda il presidente della Comunità ebraica Roberto Jarach citando le parole di Elie Wiesel. “Voglio lanciare qui un appello ai mezzi di informazione e ai politici: non cercate motivazioni strumentali a comportamenti che nascono negli anfratti più bui della stessa natura umana. L’odio basato sulla discriminazione deve essere condannato senza riserve”. A stringersi intorno alla Comunità sono state in prima battuta i rappresentanti delle istituzioni: le sedute di consiglio comunale e provinciale sono state infatti sospese per permettere ai consiglieri di prendere parte alla cerimonia. “Di fronte allo sgomento per quello che è accaduto verrebbe voglia di rimanere in silenzio. Milano invece vuole alzare la voce per affermare con forza gli ideali di libertà e tolleranza che sono propri della sua storia” afferma il sindaco Giuliano Pisapia. Un duro monito è poi lanciato dal presidente della Provincia Guido Podestà: “Attenzione – esorta – a quello che sta accadendo in Europa, perché colpevole è anche chi sceglie di girare la testa dall’altra parte”. “Aprire le porte della sinagoga questa sera ha un significato particolare – afferma il vicepresidente della Comunità Daniele Nahum – A Tolosa non sono state colpite solo delle vite innocenti, ma i valori di tutte e tre le regioni monoteiste. E ci tengo a sottolineare come i primi a esprimerci la loro vicinanza sono stati i rappresentanti delle comunità islamiche di Milano”. Poi le parole lasciano spazio alla preghiera. Tutti i rabbini presenti in Tempio salgono a recitare i Salmi per le vittime di Tolosa. Rav Elia Richetti, presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia, ha cantato El Maleh Rachamim, la preghiera per le anime defunte. Quindi la cerimonia arriva a conclusione e arriva il momento di Arvit, la preghiera della sera. Perché la più grande risposta della comunità ebraica è stata proprio questa: continuare a vivere il proprio ebraismo.

Adam Smulevich – twitter@asmulevichmoked

Rossella Tercatin – twitter@rtercatinmoked