L’odio antiebraico e il pretesto del razzismo

Quando accade un atto di violenza contro gli ebrei, un evento terribile come a Tolosa o solo una minaccia o un’espressione d’odio, la condanna viene di solito espressa in termini di rifiuto del razzismo. Suona meglio dire che un gesto è razzista piuttosto che antisemita, l’infrazione al comune senso dell’umanità appare più vasto e generale, la difesa da esso meno particolaristica. E però bisogna capire che cosa si perde nell’immergere l’odio per gli ebrei nel calderone del razzismo. E’ necessario riflettere di più su questo termine e su ciò che il suo uso implica. È importante capire che seppure il razzismo è inevitabilmente antisemita, l’odio per gli ebrei non sia necessariamente razzista. Non solo perché la parola “razza” è relativamente recente, non si diffonde in Europa prima del sedicesimo secolo (mentre “razzismo” è un vocabolo solo ottocentesco). Ma perché il concetto è estremamente limitativo.
Il razzismo è una bizzarra teoria ottocentesca, che pretendeva una inesistente base scientifica, per cui gli esseri umani andrebbero divisi in gruppi chiusi, appunto le “razze” con caratteristiche psicofisiche essenziali ben differenziate, naturalmente alcune superiori e altre inferiori. La scienza ha mostrato da tempo che queste “essenze” non esistono, che tutti i gruppi umani sono non solo ovviamente interfertili (che è il criterio biologico per la differenziazione di specie), ma di fatto sempre largamente mescolati e che la variabilità genetica interna a ciascun gruppo umano è sempre assai più vasta dalla differenza statistica fra gruppi. I tratti più visibili, come il colore della pelle ecc. non sono segni rivelatori di un’essenza razziale ma adattamenti a certe condizioni fisiche dei luoghi come l’illuminazione solare, che emergono rapidamente per adattamento evolutivo in qualunque popolazione sia sottoposta a quelle condizioni. Essere razzisti è oggi come credere che la terra sia piatta: pura ignoranza. C’è bisogno di attribuire questo errore intellettuale all’assassino di Tolosa per capire i suoi atti? Si può affermare che abbia ammazzato dei bambini, consapevolmente e deliberatamente, perché pensava che fossero di razza inferiore? Basterebbe essere consapevoli che siamo tutti esseri umani, contraddire l’aberrazione ideologica nazista, per eliminare questo tipo di crimini orrendi?
Anche se in alcuni casi si sono estesi al “sangue”, cioè alla discendenza ebraica, le persecuzioni cristiane e islamiche contro gli ebrei non erano razziste: chi si convertiva in genere aveva salva la vita. L’obiettivo era la religione, certamente, nel senso che il discrimine per cristiani e islamici era una dichiarazione di fede; ma allo stesso tempo veniva colpita la specificità culturale e nazionale dell’ebraismo: anche se nel corso della storia molti ebrei si sono convertiti per convinzione, per interesse o più spesso per salvarsi la vita, non vi sono ebrei cristiani o ebrei musulmani, come vi sono per esempio Bosniaci cristiani e musulmani. Nell’ebraismo il carattere nazionale e quello religioso coincidono largamente. L’odio per gli ebrei (uso questa locuzione invece dell’antisemitismo che è anch’essa parola ottocentesca) è dunque odio di una religione e di un popolo allo stesso tempo: come si possono odiare induisti e musulmani in Kashmir, e ache come vi è stato odio fra polacchi e russi o fra francesi e tedeschi. L’odio contro gli ebrei è però molto più largamente diffuso, molto più permanente e soprattutto esso è eliminativo. I più nazionalisti dei serbi non potevano pensare di distruggere i musulmani kossovari fino all’ultimo uomo, gli sciiti iracheni non possono voler cancellare dalla faccia della terra i sunniti o viceversa – per il semplice fatto che non è possibile. Sono odi feroci e violenti, ma non eliminativi. Quello per gli ebrei lo è: Hitler parlava di “soluzione finale”, molti autori nella Chiesa credono che ci sia bisogno della conversione di tutti gli ebrei per la parusia, il ritorno finale; nel mondo islamico circolano detti attribuiti al Profeta sull’eliminazione degli ultimi ebrei nascosti dietro sassi e alberi.
La ragione di queste caratteristiche non è facile da comprendere, ma certamente ha a che fare con il fatto che gli ebrei sono stati per millenni dispersi in piccoli gruppi in mezzo a popolazioni differenti: estreme minoranze che hanno rifiutato di assimilarsi. Cristianesimo, Islam, laicismo volterriano, marxismo, nazismo hanno avuto il progetto comune di eliminare questa anomalia, con la distruzione culturale o con quella fisica, a seconda dei luoghi, dei momenti o delle tendenze dei movimenti. I progetti di soluzione finale del problema ebraico attraverso la conversione più o meno forzata (secondo la promessa cristiana o musulmana), o l’assimilazione (come volevano Marx e gli illuministi), l’espulsione (buona parte degli stati europei fra medioevo e prima modernità) o lo sterminio (i nazisti) sono certamente assai diversi sul piano delle conseguenze personali e anche dell’intenzione etica; ma dal punto di vista storico-culturale il risultato non è troppo diverso: tutte queste strade portano a una società senza ebrei. Il razzismo non c’entra, la Chiesa e l’Islam si vogliono universali, ammettono tutti i popoli, purché convertiti. Fanno eccezione solo per Israele.
Il primo sionismo si illuse che la costruzione di uno Stato degli ebrei e quindi la fine dello stato di minoranza dispersa avrebbe annullato l’odio. Di fatto quest’odio è solo cambiato, si è esteso dai singoli individui allo stato. Nel passato l’odio per gli ebrei prendeva ridicoli pretesti religiosi (“il popolo deicida”, o che “aveva rifiutato Maometto”), o assumeva calunnie più gravi e ancor più infondate (gli omicidi rituali, gli avvelenamenti dei pozzi), si basava sul carattere “capitalista” degli ebrei (per secoli in Europa costretti a fare i prestatori di denaro dalla proibizione di altri lavori) o sul loro rapporto col socialismo, o infine sulla menzogna della razza. Oggi sarebbe Israele a “opprimere” i palestinesi, a uccidere bambini, strappare organi ai defunti, a non volere la pace, a “colonizzare” a “giudeizzare Gerusalemme” eccetera.
Sono tutte menzogne, ma la loro falsità non impedisce agli assassini di ucciderci e alle organizzazioni internazionali di discriminare Israele in maniera sistematica. Definendo quest’odio “razzista” gli togliamo la sua terribile specificità storica, lo annacquiamo in un calderone di antipatie e localismi. Coloro che hanno detto che l’assassino di Tolosa non ce l’aveva con gli ebrei ma con la Francia, probabilmente l’hanno fatto a fin di bene, per cercare protezione in una legalità generale. Chi, pur di origine ebraica, ha insinuato che si facesse scandalo per gli ebrei ma non lo si sarebbe fatto per i Rom, invece l’ha fatto con la malvagità di chi si è unito agli odiatori del suo popolo. Resta il fatto che entrambe questa posizioni sono sbagliate. Magari l’assassino di Tolosa odiava anche la Francia di cui era cittadino. Ma il suo odio per gli ebrei non derivava da quello par la Francia, né era spiegabile con le sue condizioni sociali, né era razzista: era l’ultimo anello di una catena millenaria, ed era stato alimentato da specifici e infaticabili maestri d’odio, antisemiti consapevoli, impegnati a distruggerci fino all’ultimo uomo. Questo dobbiamo sapere senza farci illusioni. E senza rifugiarci dietro le consolanti etichette del razzismo e del nazismo, pretesti momentanei e perituri di un odio molto più profondo e antico.

Ugo Volli