Progettare ed eseguire
La Parashà di “Vayakhel”, che avevamo letto prima della tragedia di Tolosa, fornisce una risposta ai tanti detrattori dell’arte contemporanea che dicono “quell’opera sarei capace di farla anch’io”; in pratica si sostiene che l’artista deve anche per essere un maestro nel dipingere, scolpire etc. per essere definito tale. Al capitolo 35 verso 30-32 della parashà è scritto (ed. Moise Levy) “L’Eterno ha specificamente designato Bezalel….l’ha colmato di sapienza [chokma], di comprensione, di intuizione…lachshov mahashov velaasot”. Quella frase , con qualche variante, ritorna diverse volte nella Torà (bisognerebbe capire il perché), e indica che le attività di Bezalel erano due: lachshov – “pensare” o “progettare” e poi laasot “fare” o “eseguire”. Prima viene il lachshov; ed è un momento ben distinto dal laasot, con la sua propria dignità autonoma, cioè un conto è creare e uno è realizzare, non necessariamente uniti. Tuttavia, nel versetto anche il laasot ha grande dignità, deriva da Kadosh Barukh-Hu. Ma, come giustamente osservava Rabbi Bahyè – citato da Leibowitz – a quei tempi gli ebrei si trovavano in una situazione particolare: erano appena usciti dalla schiavitù e in mancanza di aiuto dal Cielo non avevano la conoscenza tecnica necessaria per realizzare fisicamente – laasot – certe opere d’arte che avevano pensato sotto ispirazione di Dio. Oggi, con la nostra tecnologia, il laasot non solo è ovviamente distinto dalla fase progettuale (chi progetta un’automobile – non la produce) ma è molto spersonalizzato, e non richiede conoscenze tecniche particolari. Certo è importante che il progetto venga realizzato, e l’opera d’arte è la concretizzazione di un’idea. Proviamo a spingerci oltre. Nel suo commento alla parashà, Rabbi Bahyé crea un legame forte fra libertà e importanza della creatività nell’arte – un concetto che si ritrova anche nel filosofo ebreo marxista Herbert Marcuse (1898-1979). Potremmo dire allora che il primato della creatività sulla tecnica che troviamo nell’arte contemporanea, è indice della relativa grande libertà in cui viviamo. Basta pensare all’arte sotto le dittature, nazista ad esempio, per avere una riprova.
Daniele Liberanome, critico d’arte