…Tolosa

La strage a Tolosa, le liste dei professori ebrei, l’antisemitismo in aumento sia in Francia che in Italia. Le vicende di questi giorni ci hanno offerto molta materia per la riflessione. Possiamo chiuderci in casa e nasconderci o possiamo osare e dar voce all’inquietudine: questione di scelte. È vero, siamo completamente soli, e la considerazione dà vita a spinosi interrogativi. Qual è innanzitutto la reazione della società? I media ne parlano e stigmatizzano. Parole istituzionali di circostanza. Una breve nota della Conferenza dei Rettori solidarizza da lontano. Qualche collega ti esprime la sua solidarietà; qualcuno ti dice di essere senza parole. Ma l’istituzione a cui appartieni, disattenta, tace. E si tratta di un’istituzione culturale, di quelle che formano i giovani e li prepara a inserirsi in società. Come? Che cosa insegniamo loro se non il senso della convivenza civile e a misurarsi con gli altri nella libertà e nel rispetto? E a chi spetta insegnarglielo? Alla famiglia, alla scuola di primo o di secondo grado, all’università? Con chi ci rimpalliamo il compito? E insegnare Dante, Shakespeare, storia dell’arte, o statistica significa operare nel vuoto, o non dovrebbe fondarsi il nostro insegnamento su certi valori di riferimento? Se insegnassi Céline (o filosofia o economia), lo farei secondo i valori della Germania nazista o lo insegnerei sulla base dei valori che tengono insieme oggi la nostra società? A che serve altrimenti ripetere il ritornello che l’antisemitismo e ogni altra forma di razzismo li si combatte educando i giovani? È forse retorica con cui lavarsi la coscienza? Non ci sono innocenti. Siamo tutti colpevoli: di indifferenza, di voltare ogni volta il capo dall’altra parte, di non levare la voce neppure per esprimere pubblica solidarietà. Forse per il timore di fraintendimenti poltici. Magari c’entra Israele. Il silenzio protegge tutti, il suo calore è confortevole e rassicurante. E non procura critiche o nemici. Non mette a rischio la nostra sfavillante immagine pubblica. Mi dispiace moltissimo di essere coinvolto in prima persona in questa vicenda, perché non dovrei essere io a dire che il silenzio dell’istituzione è imbarazzante, e spero non solo per me. Sorge persino il dubbio su che cosa accadrebbe se le discriminazioni universitarie del ’38 si ripetessero oggi. Si fingerebbe di non sapere? O ci sarebbe solo una frenetica corsa alle nuove cattedre lasciate libere? Noi giudichiamo vergognoso il silenzio che ci fu durante il fascismo. E il nostro silenzio come sarà giudicato? E da chi? Una cosa è certa: contro l’antisemitismo non c’è interesse a fare argine. E nella delusione impotente che si prova non ci si può non chiedere con disagio se in altre situazioni sarebbe stato lo stesso fragoroso silenzio.

Dario Calimani, anglista