…politici

L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Così dice l’art. 1 della Costituzione. Trovatasi di fronte a una difficile congiuntura economica – in parte condivisa con altri paesi dell’Unione Europea, in parte derivante da proprie vetuste tare – la democrazia italiana ha scelto la via abbastanza anomala, anche se non nuova nel paese, del governo “dei tecnici”, presieduto da Mario Monti. In altre democrazie, nei momenti di emergenza, i partiti politici – forza mediatrice essenziale nel funzionamento di una democrazia – solitamente rinunciano a una parte delle proprie esigenze programmatiche e si mobilitano in un governo di unità nazionale. Le difficili e spesso impopolari decisioni necessarie a sanare la situazione d’emergenza vengono prese di comune accordo, e la responsabilità politica dei risultati, buoni o cattivi, viene quindi esplicitamente condivisa. In Italia i partiti hanno mantenuto la propria facoltà legislativa ma hanno scelto di delegare quella esecutiva. I partiti italiani, dunque, si dissociano dalla responsabilità diretta di un eventuale fallimento delle riforme, e soprattutto prendono distanza dal prezzo che le diverse parti sociali dovranno, ognuna, pagare in nome del salvataggio economico del paese. Il governo “tecnico” Monti, in un modo o nell’altro, giungerà al termine del proprio mandato. E allora i partiti politici torneranno a chiedere la fiducia degli elettori – quegli elettori per i quali non hanno voluto esporsi in prima persona nel momento della maggiore necessità. Resta un quesito: vorranno gli elettori rinnovare la fiducia a quegli stessi partiti?

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme