Pesach…

Lo Shabbat appena trascorso è chiamato “Gadol-grande”. Yosef Caro, basandosi sui Tosafisti e sul “nostro” Shibbolè Haleket, scrive nello Shulchan ‘Arukh (Orach chayym 430), che l’aggettivo si riferisce al miracolo che in quel giorno accadde. La Mishnà Berurà spiega che il miracolo consisteva nel fatto che ogni ebreo in Egitto avesse preso e preservato in casa, il 10 di Nissan (data di oggi che all’epoca capitò di Shabbat), l’agnello da sacrificare alla vigilia di Pesach. Non solo, ma che in pochissimo tempo (all’inizio del mese di Nissan furono spiegate tutte le norme della celebrazione di Pesach in Egitto), gli ebrei erano pronti e preparati a questo straordinario evento. Il sangue di quell’agnello sugli stipiti diviene così simbolo di libertà. È la dimostrazione che gli ebrei non sono più schiavi timorosi, ma uomini liberi, pronti a vivere il proprio ebraismo senza paura. È obbligato ogni uomo a vedere se stesso come se fosse uscito dall’Egitto; questo insegnamento dell’Haggadà indica che noi, discendenti di quegli schiavi, dobbiamo considerarci sempre, grazie alla Toràh, uomini liberi che non devono aver timore di vivere il proprio ebraismo pubblicamente. L’uscita dall’Egitto è l’avvenimento da cui inizia la nostra storia come popolo e tutto ciò che noi conserviamo dell’ebraismo, ha salde radici nella consapevolezza acquisita dai nostri padri proprio nel crogiolo della schiavitù. Il dono della Toràh e l’ingresso in Eretz Israel sono raggiungibili solo da uomini consapevoli del loro essere e del loro dovere. Auguro a tutte le Comunità ebraiche in Italia, un caro e fraterno Pesach Kasher weSameach.

Adolfo Locci, rabbino capo di Padova